Luigi Berlinguer è stato un innovatore e a lui dobbiamo alcuni cambiamenti fondamentali della scuola italiana: l’autonomia scolastica, decollata nel 2000 grazie all’emanazione del Dpr 275/1999, l’istituzione di un sistema scolastico nazionale comprensivo delle scuole statali e non statali, lo Statuto di disciplina delle studentesse e degli studenti e tanto altro ancora. Personalmente ho di lui il ricordo di una persona molto preparata, che sapeva cosa dire, quando parlava di scuola, diversamente da altri ministri successivi che hanno avuto l’aria di passanti, capitati nella cattedra che fu di Francesco De Sanctis, Benedetto Croce e di Giovanni Gentile più o meno casualmente. Non faccio i nomi, ma potrei elencarne alcuni che si sono succeduti in questi ultimi anni. Vorrei ricordarlo per due ragioni.
La prima risiede nello slogan “un coro per ogni scuola”, che dette spazio alla musica nei curricoli e addirittura consentì, in alcune scuole, l’apertura di laboratori musicali. La seconda riguarda una scelta lungimirante, che però gli valse il licenziamento da ministro del Governo D’Alema, precludendogli la poltrona di viale Trastevere nel successivo Governo Amato. Come sempre accade, la tempra umana si misura nelle sconfitte e non nelle ingannevoli vittorie. Aggiungo che la sua solitudine in quegli anni, a cavallo tra la fine del secolo scorso e gli inizi di quello corrente, lo rendono un personaggio ancora più apprezzabile, secondo lo schema che Pierluigi Battista ha tracciato nel suo ultimo libro, dedicato ai “suoi” eroi del nostro tempo.
La scelta, che causò il suo tracollo, fu quella che tutt’oggi viene infangata da un nome derisorio e cioè il “concorsone”.
Berlinguer si era armato della sottoscrizione di un contratto nazionale da parte dei sindacati di comparto, quello del 1999. Esso prevedeva, infatti, un nuovo trattamento economico per quei docenti che avessero superato un apposito concorso selettivo, previo il quale una parte di essi (il 20 per cento) avrebbe ottenuto un aumento stipendiale di 6 milioni circa di lire (più o meno 3.100 euro).
Ciò che pose in crisi la tenuta di Berlinguer fu uno sciopero, nell’inverno del 2000, che dette la stura a un profondo malessere nella scuola, cavalcato, in quel caso, dalla Gilda degli insegnanti e dai Cobas, cioè dai sindacati di base. Dopo un paio di mesi, ad aprile, al posto di Berlinguer arrivò alla Pubblica istruzione il nuovo ministro Tullio De Mauro.
Eppure Berlinguer non sbagliava. Allora come oggi si misuravano due tipi di scuola, quella sindacale e neocorporativa da una parte e quella moderna dall’altra, di natura qualitativa, dove il lavoro degli insegnanti sarebbe divenuto professionale. Se si adotta la seconda opzione, occorre accogliere la logica dei professionisti, che è per sua natura selettiva. Gli ordini professionali, infatti, funzionano tramite esami e concorsi, come quelli degli avvocati o dei giornalisti. Inoltre si prevede l’obbligo di formazione e aggiornamento, che i sindacati della scuola rifiutano.
La logica professionale, infine, non può non prevedere la carriera, perché l’egualitarismo oggi vigente umilia tutti coloro che portano avanti la scuola, organizzando le attività collettive o impegnandosi con dedizione nell’insegnamento, che sono una minoranza tra i docenti. Oggi la selezione, spesso intesa come bellum omnium contra omnes, la si propone solamente agli alunni, in maniera esagerata e promuovendo un clima iniquamente selettivo (come ha dimostrato lo psicologo Matteo Lancini nel suo ultimo libro). La si rifiuta, con motivazioni particolaristiche, se rivolta al personale della scuola: per i docenti, che di volta in volta sono stabilizzati perlopiù con concorsi “sanatorie”, e per i dirigenti, avendo ammesso a prove riservate coloro che, non avendo superato il concorso, avevano tuttavia presentato ricorso contro il ministero.
Ancora oggi, si pone la questione posta a suo tempo da Berlinguer tra una scuola neocorporativa e una scuola di professionisti, qualitativa e moderna.
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