“Prenotate con il nostro sconto, nessuna spesa per voi”. Quante volte, prenotando un hotel o un B&B alla ricerca dell’offerta migliore, siamo stati indotti all’acquisto dalle tariffe concorrenziali con un sistema che ha rivoluzionato le prenotazioni per le vacanze a livello mondiale?
In realtà la pubblicità dei vari siti di prenotazione non è del tutto veritiera: a pagare – e profumatamente – per quelle prenotazioni sono gli stessi albergatori che (ma spesso i turisti questo non lo sanno) sono obbligati infatti a versare alle varie catene (come Booking.com, Venere, Trivago, Expedia e Air B&B) percentuali intorno al 18% dell’incasso. Una percentuale molto alta (per molti decisamente esagerata), un “pizzo” in cambio della visibilità dell’esercizio sul web ma che diventa ancora più ingiusto, a giudizio degli operatori, perché queste catene di prenotazione – non avendo sede in Italia ma in paradisi fiscali – a loro volta non pagano le imposte sui loro profitti con un danno di miliardi di euro per l’erario italiano e di tutti i paesi dove si trascorre la vacanza.
Si è però aperta una crepa in questo paese di bengodi (soprattutto per Booking.com, la più grande catena di prenotazioni al mondo) almeno in Italia con una recente sentenza del Consiglio di Stato che – definitivamente pronunciando – ha confermato una multa di 500 milioni (!) per evasione fiscale ad Airbnb, il colosso americano che monopolizza le prenotazione di affitti brevi. Secondo la giustizia tributaria (che già si era espressa quattro anni fa, ma la società aveva cominciato una interminabile serie di ricorsi) sugli affitti brevi vanno pagate le imposte e quindi anche la “cedolare secca”, oggetto proprio in questi giorni di fibrillazioni a livello di legge finanziaria.
“Confidiamo che il pronunciamento del Consiglio di Stato metta la parola fine a una telenovela che si trascina da più di sei anni, durante i quali Airbnb si è appigliato a ogni cavillo pur di non rispettare le leggi dello Stato.” Con queste parole Federalberghi (l‘associazione degli albergatori italiani) commenta la sentenza del Consiglio di Stato n. 9188 del 24 ottobre 2023, che recepisce le indicazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e ribadisce che i portali di prenotazione devono riscuotere e versare allo Stato la cedolare secca sugli affitti brevi.
“Federalberghi è intervenuta nel giudizio al fianco dell’Agenzia delle Entrate per promuovere la trasparenza del mercato, nell’interesse di tutti gli operatori, perché l’evasione fiscale e la concorrenza sleale danneggiano tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza”. La federazione degli albergatori italiani prosegue commentando alcune notizie riportate recentemente dagli organi di informazione, secondo i quali l’Agenzia delle Entrate ha chiesto ad Airbnb di sanare 500 milioni di euro di tasse non versate: “Ci auguriamo che non si facciano sconti e che la web company americana venga invitata a pagare per intero le somme sottratte all’erario in questi anni, senza dimenticare sanzioni e interessi.”
E’ un precedente importante perché un concetto fondamentale dei principi fiscali europei è che le imposte vanno pagate là dove vengono prodotti i redditi che le generano e quindi le percentuali incassate dai vari siti per soggiorni italiani dovrebbero essere sottoposti alle nostre normative fiscali e non di quei paesi (spesso fiscalmente fantasma) dove hanno sede le compagnie. Più in generale il problema di Airbnb introduce quello della “sparizione” degli appartamenti in affitto i cui proprietari preferiscono rivolgersi appunto ai motori di ricerca sottraendoli al libero mercato con danni enormi dal punto di vista sociale, come ben sanno tutte le persone, gli universitari o le giovani coppie che (invano) cercano casa, soprattutto nei centri turistici.
Il fenomeno ha assunto proporzioni gigantesche: sono diventati “turistici” 27.000 appartamenti a Roma, 25.000 a Milano, 12.000 a Firenze per un totale di oltre mezzo milione di appartamenti a livello nazionale. Ad oggi questi redditi spesso sfuggono al fisco sia per i proprietari che per le società di gestione di cui Airbnb è la massima espressione. Evasi anche molto spesso i controlli di polizia in un generale sistema di locazione “in nero” che non solo fa concorrenza sleale agli albergatori “ufficiali” ma crea anche una grande sacca di evasione. Il duplice aspetto della tassazione dei redditi dei siti web da una parte e l’emersione dell’evasione dei redditi dei fabbricati “turistici” dall’altra potrebbe portare all’introito per il fisco di molti miliardi di euro che si spera vengano poi incanalati, almeno in parte, alla sistemazione proprio di quei monumenti, strutture e servizi che possano sviluppare il turismo italiano in caduta libera nel mondo rispetto alle scelte turistiche mondiali di qualche decennio fa.
Il “Bel Paese” ha bisogno di una bella rinfrescata in tutti i sensi, ecco forse trovati i mezzi per finanziarla. Un ultimo consiglio: prima di prenotare le vacanze, contattate direttamente – se possibile – la struttura dove volete recarvi: spesso scoprirete che vi faranno uno sconto maggiore di quello di Booking: il 18% di provvigione “pesa” parecchio sulla tariffa finale!
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