IL SUICIDIO ASSISTITO DI SIBILLA BARBIERI E L’AMBIGUITÀ SUL “DIRITTO A MORIRE”
Il suicidio assistito della regista e attrice Sibilla Barbieri in Svizzera in poche ore è già divenuto un “caso politico” con l’autodenuncia presentata oggi ai carabinieri di Roma di Marco Cappato, Ivan Scalarotto, Riccardo Magi, Luigi Manconi e del figlio dell’artista romana; il tutto con tanto di attacco alla Regione Lazio e allo Stato per inadempienze (presunte) nel non concedere l’aiuto medico atto al suicidio assistito previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2019 (caso Cappato-Dj Fabo, per intenderci).
Eppure vorremmo per un attimo “astenerci” dalla bagarre politica che sta emergendo, dopo l’annuncio giunto ieri della morte in una clinica in Svizzera dove l’eutanasia è concessa da leggi di Stato: “astenerci” dalle accuse dei radicali e dell’Associazione Coscioni contro il Governatore del Lazio Rocca per aver negato le possibilità del suicidio assistito nonostante, secondo la famiglia Barbieri, v’erano tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza della Consulta. “Astenerci” infine dallo scontro legislativo per concentraci invece sui motivi che hanno portato una malata oncologica terminale come Sibilla Barbieri a percorrere tale strada. Non lo nascondiamo, su questo quotidiano fin dalle battaglie sul caso Eluana Englaro non si è mai nascosta una posizione ispirata al concetto di “diritto alla vita” come elemento cardine del dibattito così delicato. Ma proprio in virtù di quel concetto occorre sgomberare il tavolo da ogni residuo di ideologia, da ogni possibile banalizzazione di una vicenda intimamente umana e medica. Come hanno sottolineato di recente i vescovi delle 15 diocesi del Triveneto in una nota condivisa con la Pastorale della Salute (in risposta alle istanze della Regione Veneto che hanno dato via libera a diversi casi di suicidio assistito), «auspicabile che si possa sempre assistere il malato, mai farlo morire. Si rimane molto perplessi di fronte al tentativo in atto da parte di alcuni Consigli regionali di sostituirsi al legislatore nazionale con il rischio di creare una babele normativa e favorire una sorta di esodo verso le Regioni più libertarie».
AVVENIRE: “VERO DRAMMA È LA CARENZA DI CURE PALLIATIVE”
Sul quotidiano “Avvenire” questa mattina si prova ad approfondire il tema mai troppo dibattuto sul fronte eutanasia, provando ad intercettare le problematiche denunciate con lucida forza da Sibilla Barbieri nel suo ultimo disperato appello allo Stato italiano prima di rivolgersi alla clinica della “dolce morte” in Svizzera. «Un malato affetto da una patologia grave e inguaribile chiede di poter accedere al suicidio assistito. Anziché rivolgersi a qualcuno che lo orienta verso un percorso di cure palliative e terapia del dolore trova chi della morte volontaria ha fatto la sua missione politica», scrive Francesco Ognibene sul quotidiano dei vescovi cattolici.
I temi posti da “Avvenire” sono sì di “parte” ma tutt’altro che “definitori”: «stare dentro il perimetro disegnato dai giudici costituzionali a garanzia delle persone vulnerabili, tutelate dalla nostra Carta, o tentare di forzarlo assimilando alla categoria del “sostegno vitale” qualunque terapia e ogni gesto di cura e di assistenza?». La Consulta in realtà già nella sentenza Cappato-Fabo aveva sottolineato con forza la necessità dell’accesso «alle cure palliative, ove idonee a eliminare la sofferenza», accesso che «spesso si presta a rimuovere le cause della volontà del paziente di congedarsi dalla vita». Il dramma è che invece nel caso di Sibilla Barbieri come in tanti altri sparsi per l’Italia, la vera carenza drammatica è proprio quella delle cure palliative: «Un diritto disatteso, come dimostrano i dati che comparando il fabbisogno di cure pallliative con la loro disponibilità parla di un 23% medio, con alcune regioni dove si raggiunge a malapena il 17. Di quali diritti occorre parlare, allora?», conclude Ognibene nel suo editoriale di “provocazione”. La strategia portata avanti dall’Associazione Coscioni con l’implicito benestare di alcune Regioni (e il segno politico c’entra poco visto che il Veneto, a maggioranza di Centrodestra, è schierato per l’autodeterminazione) di presentare molti “casi angosciosi” sembrerebbe spingere il Paese ad accettare ogni richiesta di eutanasia come una libera scelta: «Ma quale libera scelta può darsi se mancano cure adeguate alla sofferenza estrema universalmente accessibili?», si chiede, crediamo a ragione, “Avvenire”.