La produzione industriale tedesca a settembre è scesa oltre ogni previsione con un calo dell’1,4% rispetto al mese precedente contro attese di una discesa dello 0,1%. Alcuni settori mostrano cali molto negativi come l’automotive, giù del 5%, o la farmaceutica, in ribasso di oltre il 9%. La recessione attesa da dodici mesi sembra essere alle porte e dovrebbe manifestarsi, in Europa, nel primo semestre dell’anno prossimo. L’industria europea soffre la crisi energetica e gli sviluppi geopolitici. Altri sistemi, in primis gli Stati Uniti, si avviano invece verso un atterraggio morbido sostenuto dalla spesa pubblica e da un processo di reindustrializzazione che all’Europa è precluso.
Se l’economia europea entra in crisi, e in particolare la manifattura tedesca e italiana, la domanda successiva è cosa succeda alla politica monetaria. L’Unione europea arriva dalla maggiore stretta monetaria della storia dell’euro con un rialzo di 450 punti base in poco più di un anno; nonostante questa stretta il tasso di disoccupazione ad agosto ha toccato nuovi minimi. Dopo i rialzi, con l’arrivo della recessione, è inevitabile chiedersi quale sarà il tempo di reazione della Bce.
L’ultimo intervento pubblico di Isabel Schnabel, membro esecutivo della banca centrale, è utile per capire quale sia la lettura dei dati a Francoforte. Il recente calo dell’inflazione, ci spiega l’economista, è in buona parte dovuto a una favorevole base di paragone su materie prime ed energia che dodici mesi fa toccavano i massimi con la crisi Ucraina; se queste voci dovessero mostrare una crescita in linea con le serie storiche, senza immaginare nuovi shock, all’inflazione europea verrebbe aggiunta una componente dell’1,9% nei prossimi mesi.
L’analisi continua identificando diversi elementi che spingono strutturalmente i prezzi a partire dal mercato del lavoro e potenzialmente una riduzione della produzione industriale. Passare dal 10,6% di un anno fa al 2,9% dello scorso ottobre è molto più facile che scendere dal 2,9% al 2% che rimane l’obiettivo della Bce. Due condizioni si devono verificare, continua Isabel Schnabel, perché l’inflazione “core” torni in linea con le proiezioni di Francoforte. La prima è che la crescita dei salari scenda a livelli coerenti con l’obiettivo del 2%. La seconda è che le aziende assorbano nei loro profitti gli incrementi salariali.
Sono due condizioni che sembrano potersi avverare, in un contesto strutturalmente inflattivo, solo in una recessione “vera”. Fuori da questo quadro la Bce legge il processo di disinflazione con “grande prudenza” identificando sia le spinte strutturalmente inflattive, sul mercato del lavoro, sulla capacità industriale europea e sull’energia, sia il fraintendimento nascosto nella base di paragone favorevole di questi mesi. Le assonanze con gli ultimi interventi di Powell sono evidenti.
I sistemi che non entrano in recessione o che riescono, nei prossimi sei o nove mesi, a limitarsi a un “atterraggio morbido” cambieranno politica monetaria lentamente e “malvolentieri” per evitare una ripartenza dell’inflazione. Per gli altri sistemi, in caso di recessione, la scelta sarà più difficile perché tagliare i tassi prima degli altri comporta un indebolimento del cambio mentre all’opposto si mette sotto pressione l’economia. È possibile che la Bce rimandi il taglio dei tassi per timore che siano prematuri e che facciano ripartire l’inflazione. Per altri sistemi questo approccio è meno rischioso perché le loro economie sono strutturalmente più solide in questa fase.
Al cuore della questione c’è ancora l’analisi sulle prospettive economiche dell’Unione europea non più in linea con quella delle altre economie sviluppate.
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