Possono il canto e la musica riportare in vita i morti? E’ quello che narra il mito di Orfeo e Euridice, ai quali John Mellencamp, 71 anni, intitola il suo ultimo disco. Un mito che finisce in modo fallimentare: dopo aver commosso anche il signore dell’Ade, il cane Cerbero e perfino le implacabili Furie con la musica della sua lira e il suo canto melodioso, e ottenuto di riportare in vita l’amata, i due pagano un pezzo terribile. Come sempre, nulla è gratis. Per tornare al mondo dei vivinon devono voltarsi indietro, ma lei lo fa e scompare per sempre negli abissi della morte nera. Distrutto e impietrito, Orfeo non trova più pace e vaga per la terra, sublimando nel canto un passato che non può più tornare. Continua a emozionare, sì, ma rifiuta la vita e l’amore delle altre donne; per questo le Menadi – o Baccanti – si vendicano di lui, che pure era legato a Dioniso, e lo fanno a pezzi gettandone i resti nel fiume Ebro. Tutti lo piangono, uccelli, alberi, sassi, ma Orfeo potrà tornare a riabbracciare la sua Euridice. Non c’è scampo per la bellezza e per l’amore, sembrano dirci i poeti: tutto è destinato a corrompersi e perire.
È da questo assunto che il rocker dell’Indiana parte per la sua disanima ormai priva di speranze narrata in questo bellissimo disco: nella title track emerge infatti l’unico messaggio di speranza dell’intero disco, Orpheus descending: “Pensi che rivedremo la luce prima che il sangue inondi le strade? Io non mi preoccupo di quello che dicono, ci deve essere una soluzione se c’è la volontà, c’è sempre un dannato modo per uscirne”.
John Mellencamp non smette di porre questioni. Lo fa all’America, il suo paese, lo fa con Dio. Perché i conti, con l’una e con l’altro, non tornano. E nonostante i suoi 71 anni di età, il musicista originario dell’Indiana continua incessante a chiedere spiegazioni. In questo senso Mellencamp si può definire tranquillamente l’unico erede di Woody Guthrie, l’uomo che per primo usò la chitarra (ricordate quella scritta, “quest’arma uccide i fascisti” posta su di essa?) per denunciare le ingiustizie.
Springsteen ha indossato quegli abiti alcune volte, ma li ha dismessi quasi sempre, troppo difficili da portare; Bob Dylan li indossa ancora sebbene in maniera filosofica e intellettuale, continuando, come disse lui stesso tempo fa, “a navigare in quel grande mare che l’America”. Ma Mellencamp è qualcosa di diverso, e in questo senso unico. Aveva già cominciato a indossare i panni che oggi mostra orgogliosamente a metà anni 80, con l’epocale album Scarecrow, in cui si era fatto portavoce della middle class americana, da sempre dileggiata e scartata dall’America che conta, quella di Wall Street e di Hollywood.
John Mellencamp è un’attivista puro, oggi che anche gli eroi della battaglia di Seattle sono andati a ingrossare le fila dei social, dell’intelligenza artificiale, addomesticati e zittiti. Il suo ultimo disco, uno dei migliori della sua intera carriera, è un dito puntato verso chi ha causato e causa ancora tanto male. E’ un mondo che sta rotolando verso l’abisso: i miliardari sono più ricchi che mai e la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani. Nel 2019 è stato calcolato che 26 individui possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale.
Per questo un disco come Orpheus Descending è più necessario che mai, anche se lo ascoltano in pochi.
I primi due brani prendono di mira i problemi che affliggono la nazione e causano il divario e il malcontento che sembrano ormai toccare milioni di persone. Hey God e The Eyes of Portland parlano direttamente di questo malessere, con Mellencamp che si scaglia contro la discordia che travolge la nazione nel primo e denuncia l’aumento dei senzatetto nel secondo. È stanco di dover continuare a ripetere questa denuncia, lo si avverte nella voce che si è fatta vecchia, polverosa, quasi alla Tom Waits, nelle musiche che hanno rinunciato alla carica arrembante che contraddistinguevano la sua cifra artistica. Ma continua ad alzare il grido di battaglia, trasmettendo il suo messaggio con risolutezza roca e pari quantità di grinta e gravità per sottolineare quegli scenari. In un certo senso, non è mai sembrato più duro e il suo impegno per la causa non è mai messo in dubbio.
Nel terzo brano in scaletta si rivolge ai The So-Called Free, gli abitanti di quell’America che si considerano appartenenti alla terra dei cosiddetti liberi, e lamenta il fatto che non ci siano eroi da nessuna parte.
Non fa sconti neanche a Dio, John Mellencamp: “Ehi Dio, se sei ancora là, per favore potresti scendere giù?”. Quel Dio che gli americani hanno sempre considerato dalla loro parte (e che già Dylan irrideva nell’epocale With God on our Side): “Cosa hai veramente in mente per noi? Sappiamo che non sei dalla nostra parte, alcune parole di saggezza scritte non bastano più a sostenerci”. Già perché arriva un momento in cui non bastano più le belle parole in un paese in cui la libertà di avere una pistola è sancita dalla Costituzione: “Armi e pistole, sono davvero i miei diritti? Leggi scritte molto tempo fa, nessuno poteva immaginare lo spettacolo di tanti morti sul pavimento”.
“Un giorno attraverso gli occhi di Portland ho visto così tanti senzatetto che durante il giorno dormivano negli angoli per non subire danni quando il sole se ne andava. C’erano vecchi e giovani, bianchi e neri (…) Così tante persone senza un posto dove andare e niente da fare. Tutti questi senzatetto, da dove vengono? In questa terra dell’abbondanza dove non si fa nulla per aiutare chi è incapace di correre. Le tue lacrime e le tue preghiere non aiuteranno i senzatetto”.
Eppure, nonostante questo quadro, Mellencamp riesce ancora a mantenere un certo ottimismo, per quanto appaia doloroso. La canzone che dà il titolo al disco suggerisce che c’è sempre “un dannato modo”. Allo stesso modo, Perfect World (scritta dall’amico Springsteen) e Understated Reverence adottano un approccio più sommesso, ma prevale ancora una certa urgenza.
Il momento più toccante è senz’altro la pianistica Amen, una formula inedita per il cantate, sembra di trovarsi davanti il Tom Waits più disilluso e sconfortato. Cantata magnificamente su una melodia bellissima, Mellencamp sembra quasi arrendersi: “È difficile trovare un posto qui. La vita è un gioco confuso, un conflitto dopo l’altro. Amen è tutto quello che posso dire”.
Musicalmente, Mellencamp ha raggiunto una formula di equilibrio perfetto. Le sue canzoni sono marcatamente folk, ricordano Woody Guthrie, ma si colorano delle sue amate tinte black, quelle che lo hanno fatto il più credibile erede di James Brown, appoggiandosi su un tessuto ritmico pulsante fatto dei ritmi del soul, un elegante violino (bentornata Lisa Germano), pochi ma efficaci chitarre e tastiere Hammond eleganti.
Orpheus Descending si può considerare uno degli album più imponenti e avvincenti di una carriera che non ha mai avuto sbavature o cedimenti. È un commovente riassunto dei problemi che ci affliggono, mantiene un senso di ottimismo sul fatto che, non importa quanto sia dura la lotta, le cose possono cambiare se le persone sono disposte a impegnarsi. Usa tutto ciò che hai per ottenere quello che vuoi, esorta in Lightening and Luck, condividendo un certo sentimento che potrebbe essere preso a cuore.
È, senz’altro, il miglior disco rock uscito nel 2023.
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