Mesi e mesi in attesa di un annuncio che valga un titolo e poi, di colpo, la bomba viene sganciata quando meno te lo aspetti. Alla Bce fervono i preparativi per il board del 15 novembre, formalmente appuntamento ufficiale ma senza decisioni finali di politica monetaria. Tradotto, a nessuno interessa nulla. Questa volta potrebbe essere differente, però. Per almeno due ragioni, di cui una di portata potenzialmente storica.
La prima è quella che ha visto Christine Lagarde affermare come la Banca centrale europea non taglierà i tassi per i primi due trimestri del 2024. Soltanto quindici giorni fa, a una domanda sull’argomento, definì totalmente prematuro soltanto toccare l’argomento. Oggi invece c’è l’indicazione di un arco temporale. La situazione macro dell’eurozona – Germania e Francia in testa – sta peggiorando. Rapidamente. E questa ne è l’implicita conferma.
Seconda e più importante è giunta il 9 novembre da un anonimo e poco attraente convegno dal titolo Central bank liquidity: a macroeconomic perspective, ospitato in seno alla Conference on Money Markets organizzata dalla stessa Bce. Relatore principale era Philip Lane, il capo economista dell’Eurotower e la sua prolusione appariva la solita dotta introspezione accademica su temi strettamente da addetti ai lavori. Poi, la frase che spiazza: A mix of a structural bond portfolio and longer-term refinancing operations would provide longer-time liquidity to the banking system. Tradotto, i programmi di acquisto della Bce, gli stessi che i falchi del rigore hanno sempre voluto bollati ex ante con l’aggettivo temporaneo, potrebbero diventare strutturali. Scudo anti-spread come veicolo per garantire liquidità al sistemo bancario insieme alle operazioni di rifinanziamento a lungo termine Tltro, stante la necessità di garantire un livello sempre sufficiente di riserve alla Banca centrale. Ulteriore traduzione, la Bce potrebbe mantenere permanentemente a bilancio parte degli assets acquistati tramite programmi come il Pepp e l’App. E come si può ottenere un simile risultato? Solo rimpiazzando i titoli detenuti mano a mano che vadano in scadenza. Oltretutto in base a un principio automatico che veda questo swap sul reinvestimento scattare subito dopo che l’ammontare del portfolio sia sceso sotto una predeterminata soglia. Senza bisogno di deliberare.
Molto giapponese come scenario. Praticamente, un Whatever it takes in sedicesimi, almeno a parole e nelle intenzioni. Il quale non solo mette il timbro in ceralacca sulla certificazione di recessione alle porte per l’eurozona, ma rischia di generare un altro scontro istituzionale fra Bce da un lato e Corte costituzionale tedesca dall’altro. La domanda nella domanda è la seguente: quella di Philip Lane era una riflessione personale a voce alta oppure una linea tacitamente concordata e che, forse, necessitava di uno stress test pubblico, ancorché defilato mediaticamente ma sicuramente destinato a raggiungere le orecchie del mercato? Nel primo caso, la Bundesbank non tarderà a far sentire la propria voce. Nel secondo, l’aver dovuto ingoiare l’arrivo sul tavolo della discussione di un simile regalo ai cosiddetti Pigs potrebbe aver armato la mano proprio della Germania in sede di Ecofin, quando Berlino ha messo con le spalle al muro una sempre più indebitata Parigi e sparigliato le carte rispetto alla proposta iniziale di riforma del Patto di stabilità.
L’intervento draconiano sul deficit, di fatto, si configura come un attacco all’Italia e al suo 4,6% appena certificato in sede di Manovra che potrebbe vanificare nelle prezzature di chi investe parte dell’effetto placebo che la proposta di Lane potrebbe invece sortire sulla percezione del nostro spread. E la stessa, potenziale dinamica, ancorché vissuta dall’altra parte della barricata, potrebbe giustificare la durezza con cui il ministro Giorgetti ha posto il veto su questa proposta, obbligando a un nuovo vertice di aggiornamento il 27 novembre e arrivando a dire chiaramente che appare preferibile tornare alle vecchie regole di cronoprogramma ferreo sull’abbassamento del debito, piuttosto che accettare una bomba a frammentazione piazzata nei conti del Ded e della Nadef tramite i parametri di deficit.
In caso la proposta di Philip Lane fosse qualcosa più che un’ipotesi meramente accademica, Giancarlo Giorgetti avrebbe fatto di necessità virtù: visto che la situazione macro sta peggiorando rapidamente e che Berlino e Parigi oggi stanno peggio di noi, tanto vale tirare la corda e vedere fino a che punto l’asse renano accetta lo scontro, a fronte in un indice IFO teutonico che lascia poco spazio all’interpretazione. Inoltre, un simile dibattito in seno alla Bce pare offrire una tacita e implicita spiegazione al ritorno in grande stile sulla scena politica di Mario Draghi, autore nell’arco di pochi giorni di un uno-due critico e allarmato sul futuro prossimo dell’Ue. Un affondo che, dopo mesi e mesi di silenzio, appare la versione in salsa europea dell’intervento che tenne al Meeting di Rimini, prima della chiamata a Palazzo Chigi. Tradotto, bye bye Ursula, benvenuto Mario a capo della nuova Commissione Ue. Quantomeno, il diretto interessato pare aver ufficiosamente sciolto le riserve e garantito la sua disponibilità. Ovviamente, queste al momento rientrano nella categoria delle semplici interpretazioni.
Attenzione, infine, a quanto sta accadendo sullo sfondo. La bocciatura del debito Usa appena recapitata da Moody’s appare un chiaro detonatore di crisi, stante rendimenti dei Treasuries che domani potrebbero tonare a salire. Allarmando non poco i mercati e offrendo alla Fed un alibi di prim’ordine per prolungare la sosta di riflessione dei rialzi dei tassi, persino cominciando a ragionare in senso opposto. Ovvero, tagliare. Magari in onore del soft landing da preservare, prima che diventi schianto. In tal senso, se l’agenda nascosta fosse proprio quella di un incidente controllato per bloccare a livello di G7 la corsa all’aumento del costo del denaro, Moody’s venerdì potrebbe decidere di spedire il rating di credito dell’Italia in speculativo. O, magari, rinviare la decisione. Se davvero la Bce rendesse parte del Qe strutturale, nessun fondo pensione svenderebbe Btp. Anzi. Il momento è di quelli che capitano una volta ogni 50 anni, probabilmente. Il Governo ne prenda atto. E agisca di conseguenza. Pasteggiando con il diavolo, se necessario. Per pentirsi ci sarà tempo.
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