Il settore dell’energia eolica è in crisi anche per la rapida crescita delle dimensioni e della potenza degli impianti. Un fenomeno, chiamato gigantismo, che riguarda in particolare i parchi offshore. Se da un lato sono stati registrati progresso importanti in termini d’efficienza, dall’altro le catene di fornitura sono andate in affanno, accentuando i problemi sul fronte delle materie prime e del finanziamento dei progetti, sui cui pesa pure il rialzo dei tassi di interesse. Ad esempio, l’azienda danese Ørsted, che ha rinunciato alla costruzione di alcuni parchi offshore negli Usa e crollata in borsa per questo, cita tra i maggiori ostacoli la scarsità di navi specializzate per l’installazione, quindi i tempi di attesa si allungano e i costi crescono.
Nel mondo ce ne sono poche decine, soprattutto in Cina, ma scarseggiano quelle che riescono a posare gli impianti più grandi, che vanno per la maggiore. Secondo una recente analisi di Wood Mackenzie, anche quelle in costruzione rischiano di non essere sufficienti. Servirebbe un investimento di 13 miliardi di dollari per almeno altre 20 navi, ma ci sono impegni per meno della metà di questa cifra, precisa il Sole 24 Ore, rimarcando che c’è pure la questione dei porti da adattare, ad esempio rinforzando le banchine.
CRISI ENERGIA EOLICA, IL CASO SIEMENS GAMESA
Il gigantismo è dietro anche la crisi di Siemens Gamesa, altro colosso dell’energia eolica. La situazione è precipitata quando sono emersi difetti di fabbricazione nelle turbine onshore, ma la società ha parlato di difficoltà anche nel segmento offshore, dove è leader mondiale. Dunque, non riesce a soddisfare gli ordini, perché ha troppe richieste di turbine XL ma le sue fabbriche sono inadeguate, anche per gli spazi. Ci sono piani di espansione, ma procedono a rilento. Stando a quanto riportato dal Sole 24 Ore, Siemens Energy valuta un taglio dei costi contro le perdite, ma tra le ipotesi secondo fonti Reuters ci sono anche la cessione di stabilimenti e la rinuncia a progetti di potenziamento.
Per quanto riguarda le materie prime, il fabbisogno cresce in proporzione. Secondo le previsioni di Rystad Energy, l’Europa a fine decennio avrà bisogno di 1,7 milioni di tonnellate di acciaio solo per le torri eoliche e se non ci saranno investimenti mirati bisognerà importarne almeno il 30%. D’altra parte, l’aumento di potenza degli impianti eolici ha portato vantaggi, infatti il costo di generazione dell’elettricità del vento è sceso di quasi due terzi tra 2010 e 2022. Anche la potenzia media delle turbine è aumentata, ma il ritmo sembra sfuggire al controllo.
“ABBIAMO CREATO UN MOSTRO, VA FERMATO”
Tra gli stessi produttori, sottolinea il Sole 24 Ore, c’è preoccupazione per aver premuto l’acceleratore. “Abbiamo creato un mostro ed è un mostro che dobbiamo fermare“, dichiara John Eggers, US chief technology officer di Vestas, secondo cui la corsa al rilancio è legata soprattutto alla paura di perdere clienti a vantaggio della concorrenza. Alla fine il rischio è che non ci sia alcun vincitore: se i costi aumentano per le mega turbine e si allungo i tempi di realizzazione dei progetti, allora lo sviluppo dell’energia eolica si ferma. Nell’ultimo rapporto del dipartimento dell’Energia Usa si legge che “gli appelli a rallentare la crescita si stanno moltiplicando, man mano che si diffondono le preoccupazioni sulla disponibilità di porti, navi e infrastrutture di fabbricazione“.
Anche i laboratori per testare gli impianti sono ormai troppo piccoli rispetto alle esigenze. Il rischio di guasti, problemi e difetti di fabbricazione potrebbero diventare più frequenti. Infatti, gli assicuratori monitorano la situazione: “La partecipazione al mercato eolico offshore è diventata un business rischioso. E questo non solo per gli assicuratori ma anche per i produttori, gli sviluppatori e i fornitori“, dichiara Fraser McLachlan, ceo di GC be Insurance, compagnia specializzata nel settore delle rinnovabili.