L’inflazione a ottobre negli Stati Uniti è scesa al 3,2% dal 3,7% del mese precedente e ha fatto segnare il valore più basso da marzo 2021; l’inflazione “core”, al netto delle componenti più volatili, si è attestata al 4,0%, il valore più basso da settembre 2021. Il dato ha innescato il rally dei mercati azionari, anche europei, e obbligazionari; il mercato italiano è salito dell’1,45% e il rendimento del decennale italiano è sceso sotto il 4,5%.
Da ieri i mercati non scontano alcun ulteriore rialzo dei tassi della Federal Reserve, mentre le probabilità di un taglio a maggio sono salite oltre il 50%. I tassi intanto sono fermi ai massimi degli ultimi 22 anni dopo due anni e mezzo in cui l’inflazione ha prima sorpreso al rialzo e poi è rimasta a livelli elevati molto più a lungo delle attese iniziali.
L’andamento delle azioni suggerisce che il mercato stia scommettendo su un “atterraggio morbido dell’economia” globale; altrimenti le preoccupazioni per una recessione e una revisione al ribasso delle stime di crescita e degli utili si sarebbero fatte vedere diversamente sui mercati azionari. Questa è la prima indicazione arrivata ieri. Il rallentamento economico, particolarmente evidente in alcuni settori e molto meno in altri, oltre al calo di petrolio e gas, è il responsabile della riduzione dell’inflazione che comunque convive con un mercato del lavoro ancora in buona salute. La seconda indicazione è che l’inflazione “core” è ancora sopra l’obiettivo del 2%; non è chiaro quanto rallentamento occorra per riportare stabilmente l’incremento dei prezzi in linea con l’obiettivo.
Le prossime settimane saranno cruciali per capire se l’atterraggio morbido riguarderà tutti i mercati e i Paesi oppure se sarà limitato ad alcune regioni. È possibile che il rallentamento negli Stati Uniti sia molto inferiore a quello europeo; l’industria americana non è stata impattata da una crisi energetica come quella europea, il mercato del lavoro è decisamente più in salute e al momento a Washington non si parla ancora di ritorno alle vecchie regole fiscali. La recessione che Mario Draghi ha previsto per l’Unione europea nel primo semestre del 2024 potrebbe non riguardare l’America di Biden o riguardarla molto meno. Se il rallentamento americano seguisse, nella dimensione, quello europeo, la Bce avrebbe un compito più facile e potrebbe abbassare i tassi senza doversi preoccupare troppo del cambio.
L’atterraggio morbido, insieme alle attese di un calo dei tassi di interesse, potrebbe sostenere i mercati come si è visto ieri. Questo è possibile solo se la recessione viene esclusa dagli scenari possibili; in caso contrario la prospettiva dei tagli della Fed non basterebbe per tenere in salute i mercati.
Negli ultimi 24 mesi inflazione e politica monetaria sono mutate molto più rapidamente di quanto si potesse immaginare. Lo scenario sta evolvendo verso un rallentamento economico e un minore incremento dei prezzi e sul finale potrebbe esserci una recessione. Questa è la parte facile dell’analisi. Quella difficile è capire quanto velocemente si entrerà in un regime di prezzi in discesa e rallentamento economico e, ancora più difficile, chi ci entrerà per primo e chi per ultimo. Sullo sfondo, allargando ulteriormente l’orizzonte, rimangono le spinte strutturalmente inflattive: fine della globalizzazione, invecchiamento della popolazione, instabilità geopolitica e rivoluzione green. Sono spinte da cui solo una recessione ci può momentaneamente salvare. Diversamente, per evitare squilibri sociali, bisogna immaginare un percorso sano di crescita dei salari e dell’economia che non è scontato nel nuovo mondo che si è aperto nel 2021.
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