La neurologa Serenella Sevidei, docente all’Universita Cattolica e direttrice di neurofisiopatologia della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, ha parlato del caso di Indi Gregory sulle pagine di Avvenire, soffermandosi in particolare su come si potrebbero evitare situazione simili, o gestirle meglio. Ci tiene, ovviamente, a manifestare il suo dispiacere per quanto accaduto alla bambina inglese, dicendosi “vicina ai genitori”.
Di contro, però, ritiene anche che casi come quello di Indi sono in qualche modo utili per farci “riflettere su come una malattia devastante debba essere affrontata nella maniera più giusta, ma anche solidale, rispettando le sofferenze del bambino e dei genitori”. Sul caso specifico della malattia che affliggeva la bambina inglese, spiega che “la prognosi non è sempre formulabile” per via delle differenti evoluzioni cliniche di casi simili. “In bimbi con esordio della malattia in epoca neonatale e a 8 mesi già in supporto respiratorio mediante tubo endotracheale, e alimentate mediante sondino nasogastrico”, esattamente come Indi, però, “in assenza di terapie purtroppo la prognosi è sempre infausta.
Sevidei: “Indi insegna l’importanza delle cure palliative e degli hospice”
A differenza di quanto accaduto ad Indi nel sistema sanitario britannico, Sevidei spiega che “in Italia la decisione tra cure palliative e sospensione delle cure si prende al letto del paziente“, ascoltando anche la sua opinione, quella dei familiari e degli esperti, oltre che tenendo in considerazione il quadro clinico e l’evoluzione della malattia. Rimane vero, però, che “la linea di confine dell’accanimento terapeutico è sottilissima e la scelta è drammatica”.
“Sarebbe bello”, riflette ancora la neurologa rimanendo sul tema della morte di Indi, “cercare di assicurare a tutti un fine vita il più dignitoso e meno doloroso possibile”. Nel caso specifico dell’Italia, infatti, “l’assistenza sul territorio è sempre più carente, con tagli ai diritti e all’accesso alle cure domiciliari sempre più gravosi e con il peso della gestione dei malati gravi sempre più sulle spalle dei familiari”. Inoltre, “le strutture per cure palliative o hospice sono pochissime, soprattutto quelle pediatriche”, e per evitare casi simili a quello di Indi occorrono “investimenti economici per garantire sul territorio l’assistenza ai malati gravi, anche in fase terminale, e il supporto ai familiari”.