“Negli ultimi due giorni, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, sono raddoppiate le richieste d’aiuto al 1522: dalle 200 telefonate quotidiane si è arrivati alle 400, con picchi tra 450 e 500 se si considerano anche quelle fatte con chat ed App. A dirlo è Arianna Gentili, responsabile della Help line violenza e stalking 1522, servizio pubblico promosso dalla presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le Pari opportunità. Oltre alle adolescenti, sono aumentate le richieste da parte dei genitori, in particolare dalle mamme, preoccupati per le figlie”.
Questo più che raddoppiato numero di richieste di aiuto, a qualche giorno dal ritrovamento del corpo di Giulia, cosa ci dice? Cos’è aumentata realmente? La preoccupazione, l’angoscia, l’ansia o la corretta valutazione dei fattori di rischio correlati a relazioni complesse? Dalle risposte a queste domande conseguono scenari molto diversi.
Se infatti ad aumentare sarà stata solo l’angoscia – come chi scrive ritiene plausibile – non avremo esiti utili all’affronto di un problema reale e grave come è quello delle relazioni disfunzionali, poiché è ben noto che dalla maggiore diffusione delle fobie sociali non derivano certo migliori modalità di relazione tra soggetti, così come all’incremento dell’ecoansia non si correlano stili comportamentali realmente più sicuri.
Al contrario, da una radicale revisione del comune modo di intendere i rapporti interpersonali, gli ostacoli, i conflitti e le ambivalenze che li connotano, potremmo invece tentare di ricavare nuovi orientamenti efficaci nella promozione di legami edificanti e non distruttivi.
Una rielaborazione niente affatto facile quella che qui si presenta come necessaria, poiché a tema è l’amore, parola che Giacomo B. Contri individuava come designante “un tesoro oscuro”, oscurato dal disorientamento dei singoli e della cultura. La parola più equivocata nella storia dell’umanità, in nome della quale da sempre il sangue scorre a fiumi.
L’amore, posto che ne sia chiara la definizione – e non lo è affatto: si pensi ad esempio alla sua connotazione come possesso, come pretesa, come esclusiva, non solo nelle relazioni di coppia, ma anche in quelle familiari o amicali –, è tale solo se è sinonimo di profitto. Sì, proprio così, profitto, un termine che stride nelle nostre orecchie se affiancato all’amore, perché non ci è chiaro che profitto, dal latino proficĕre, significa avanzare, avere successo, crescere, progredire. In altri termini l’amore è profitto in quanto è guadagno, reciproco, che oltre ad un passato ed un presente, per essere amore deve anche avere un futuro.
Eccoci giunti, anche se a balzi e non con l’articolazione dettagliata che la cosa meriterebbe, a “futuro”, la parola chiave della drammatica vicenda di Giulia Cecchettin e Filippo Turetta. Filippo si è pensato senza futuro, nonostante i suoi 22 anni. Ha sequestrato e ucciso Giulia pochi giorni prima che avvenisse la discussione della sua tesi di laurea, con cui la ragazza sarebbe stata proclamata dottoressa in ingegneria biomedica.
Dai giornali abbiamo appreso che Filippo avrebbe chiesto a Giulia, sua ex fidanzata e compagna di studi, di vedersi per convincerla a non laurearsi nella sessione in corso, una richiesta che suona assurda in sé e peraltro fuori tempo massimo: tesi consegnata, programmazione della discussione definita. Ma perché una tale richiesta, che è in fondo la richiesta di rinunciare al futuro? Giulia si sarebbe laureata prima di lui, un pensiero intollerabile per Filippo, ed ancor più insostenibile della conclusione della loro relazione.
Un caso, questo, di invidia patologica – quando l’invidia non lo è? –, perché il desiderio in campo non è quello di avere ciò che l’altro ha, o che sta ottenendo, ma piuttosto l’aspirazione a che nessuno ottenga quello che il soggetto sente di non poter avere.
Perso il pensiero del futuro come variamente edificabile nella sua complessità soggettiva, e ridotto questo futuro ad un traguardo da tagliare per primo, gli altri passano dall’essere partner, con cui collaborare per costruire i propri successi, ad avversari, contendenti, il cui primato, per chi arriverà dopo, sarà umiliante e mortificante.
A chi in questi giorni si interroga su come supportare le nuove generazioni, in un tempo tanto pregno di violenza, trovo utile indicare due traiettorie: la valorizzazione del soggetto, dell’io, di ogni singolo io nella sua originalità e peculiarità – occorre infatti sentirsi miseri per invidiare – ed investimento sulle competenze necessarie alla valutazione dei partner. L’amare infatti non è mai in contraddizione con un giudizio operante, attivo, ed il perdono, come ha recentemente affermato in un’intervista Chiara Valerio, è un atto di conoscenza; un atto di conoscenza, aggiungo io, che non rimuove – per amore appunto – nessuna ambivalenza ed incongruenza del partner.
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