Erano le 23.15 di sabato 11 novembre. “Così mi fai male”, diceva Giulia Cecchettin a Filippo Turetta. Il ventiduenne, intanto, la colpiva con calci e pugni sull’asfalto, nel parcheggio dell’asilo di Vigonovo. Poco dopo l’avrebbe trascinata nella sua Fiat Punto per portarla nella zona industriale di Fossò, dove le ha sferrato le coltellate che l’hanno portata alla morte. Intanto, a udire dal balcone la richiesta di aiuto della vittima c’era Marco, un quarantenne che vive a pochi metri dalla zona della prima aggressione.
L’uomo non esita a chiamare i Carabinieri. In diretta riferisce tutto ciò che sta accadendo, ma non riesce a prendere la targa. È troppo buio. Gli agenti, dopo averlo ascoltato, non inviano alcuna pattuglia sul luogo. Se lo avessero fatto, forse, Giulia si sarebbe potuta salvare. È un pensiero che rimbomba da giorni nella testa del super testimone, che nelle ore successive si era anche recato da Gino Cecchettin per raccontargli quel che aveva visto. Il suo intervento non è stato sufficiente per evitare il peggio.
Giulia Cecchettin, il testimone chiave oscura i social e cancella il nome dal citofono: il racconto
Ora Marco, il testimone chiave del caso di Giulia Cecchettin, va avanti con la sua quotidianità, dal lavoro alla famiglia. Anche se tutto è diventato più difficile. “Vivo una pressione mediatica non indifferente, mi hanno chiamato in un milione. Come mi devo sentire, secondo lei? Sto come starebbe chiunque in una situazione del genere”, ha ammesso a Repubblica. È per questo motivo che ha oscurato i suoi profili sui social network e ha cancellato il suo nome dall’etichetta del citofono.
La mente però resta comunque ferma a quel sabato sera. “Domenica sono andato dal papà di Giulia dopo che ho visto girare gli appelli della scomparsa sui social. Ma non ne voglio parlare, sono distrutto da questa vicenda, averla vissuta è davvero brutto”, ha concluso.