Il buco nero dell’intelligenza artificiale

L'Intelligenza artificiale può portare a un cambiamento importante anche nella conoscenza. Ma c'è qualcosa nell'umano che non è replicabile

Il caso Altman mostra bene la portata della sfida. Un anno fa, poche persone conoscevano questo dirigente della società tecnologica Open AI. Oggi è una celebrità e il suo licenziamento e il suo ritorno in azienda in meno di una settimana sono diventati una delle notizie di cui si è più parlato.

Appena un anno fa non conoscevamo ChatGPT, lo strumento di Intelligenza artificiale (AI) sviluppato da OpenAI. Ora gli studenti lo usano per fare i compiti e gli esami. Molti ricercatori hanno smesso di redarre i loro rapporti, molti burocrati hanno smesso di scrivere le loro lettere: fa tutto ChatGPT. La velocità con cui elabora milioni di frasi memorizzate e utilizza enormi modelli linguistici ci ha sorpreso tutti. Sembra che la macchina pensi davvero.

All’apice del successo di OpenAI, il Consiglio di amministrazione ha deciso di licenziare Altman. Stiamo parlando del top manager dell’azienda che potrebbe cambiare ciò che intendiamo per conoscenza, per conoscenza umana. Ci sono voluti millenni perché la ruota cambiasse il modo in cui ci muovevamo. E questo cambiamento sta avvenendo molto più velocemente, in modo molto meno trasparente e molto più decisivo.

OpenAI non era un’azienda qualunque. È stata creata come ente di ricerca che mirava a sviluppare un’Intelligenza artificiale sicura per tutta l’umanità. In OpenAI convivano due anime: l’anima del lungo termine, incarnata da manager convinti che la missione fosse migliorare la vita nel mondo; l’anima commerciale che voleva trasformare l’azienda nella nuova Google, capace di ottenere risultati formidabili.

Nel 2019, la necessità di liquidità ha fatto sì che OpenAI ricevesse un investimento di 1 miliardo di dollari da Microsoft. Da allora, il tecnocapitalismo ottimista che ha messo radici nella California del Nord sta avanzando tra i suoi manager. La mentalità della Silicon Valley, per la quale l’utilizzo di grandi quantità di capitale di rischio e una buona dose di ambizione consentono di conquistare il mondo, è diventata la nuova cultura aziendale. Il licenziamento di Atlman sarebbe stato l’ultimo tentativo dell’anima del lungo termine di mantenere OpenAI fedele alle sue origini, ma il suo rapido ritorno nella stessa carica, favorito dal sostegno dei dipendenti, rappresenta la vittoria definitiva dell’anima commerciale.

Reuters, un’agenzia di informazione affidabile, ha riferito che un gruppo di programmatori, prima del licenziamento di Altman, aveva inviato una lettera al Cda informandolo che era stato sviluppato un nuovo strumento potenzialmente molto pericoloso. Uno strumento che potrebbe «minacciare l’umanità». Conosciuto come Q* (Q Star), sarebbe in grado di eseguire calcoli matematici. La macchina avrebbe imparato a pensare. Non con autocoscienza, ma sarebbe stata capace di andare oltre la previsione statistica per lo sviluppo di una frase.

Non sappiamo cosa sia successo davvero all’interno di OpenAI. E probabilmente non lo sapremo mai. Un cambio d’epoca che riguarderebbe il modo di lavorare, di vivere, di comprendere ciò che è tipico degli esseri umani è stato possibile all’interno di un’organizzazione che non deve rendere conto a nessuno. Negli ultimi secoli abbiamo costruito sistemi di relazioni internazionali multilaterali per prevenire gli abusi di potere. Abbiamo sviluppato controlli per bilanciare gli eccessi del mercato. Abbiamo costruito Stati-nazione basati sulla sovranità popolare. Sin dall’Illuminismo, ci siamo basati su principi universali astratti per governare le nostre vite e le nostre relazioni. L’intero sistema è diventato insufficiente per mantenere ciò che è proprio della conoscenza umana, dell’io. Né le istituzioni, né le campagne sociali di “resistenza” possono aiutare a difendere e sostenere l’intangibilità dell’io umano. Può farlo solo una stima per il modo umano di conoscere, una stima concreta che deriva da esperienze particolari. Solo il concreto fa emergere l’irriducibilità dell’io. Quell’io che quando conosce spera – spera persino prima di decidere di sperare -, che quando conosce si sente attratto, emozionato, incuriosito dal significato di ogni cosa.

Conoscendo non possiamo smettere di trasformare “l’irreale in possibile, poi in probabile, poi in un fatto incontrovertibile”. Non possiamo smettere di sperare e smettere di “trasformare i desideri in parole” (Faulkner). Questo ci rende umani.

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