La Russia si prende un’altra fetta di Africa a discapito dell’Unione Europea. La giunta militare protagonista del golpe in Niger, guidata dal generale Abdourahamane Tchiani, ha deciso di affossare gli accordi con la Francia per quanto riguarda la doppia imposizione fiscale e di rinunciare a quelli con la Ue per la difesa e la sicurezza. Un addio all’Europa in grande stile che significa anche un avvicinamento a Mosca: in questi giorni, infatti, si è svolto un incontro con il viceministro della Difesa Evkourov per rafforzare la cooperazione con la Federazione Russa.
Mosca così allarga la sua zona di influenza nell’area, nella quale ha instaurato ottimi rapporti con Burkina Faso e Mali, quest’ultimo protagonista insieme al Niger della rottura degli accordi con i francesi per il fisco. Per la Ue un problema non da poco, anche perché quella è una delle zone di affluenza e di passaggio dei subsahariani che puntano ad arrivare sulle coste di Lampedusa per poi cercare una sistemazione nel vecchio continente. Non per niente uno degli atti più recenti di Tchiani è stata l’abrogazione della legge sul traffico illecito di esseri umani.
“Per gli europei – spiega Marco Di Liddo, direttore del Cesi, Centro studi internazionali – è un fallimento totale, politico, militare ed economico, un arretramento della nostra capacità di proiezione”. Rischiamo, dopo la dipendenza da altri Paesi per gas e petrolio, di sperimentarne un’altra, quella relativa alle materie prime critiche.
Quanto pesa l’allontanamento del Niger dalla Francia e dalla Ue e il suo avvicinamento alla Russia? Come cambiano gli scenari nell’Africa centrale?
Era ampiamente previsto che si andasse in questa direzione. Il Niger ricalca quello che succede in Mali e in Burkina Faso. Ci sono tre giunte militari che si allontanano dall’Occidente, che non li può riconoscere per questioni di sostenibilità di politica estera, e per non rimanere isolati nelle organizzazioni africane, a partire dall’Ecowas, hanno bisogno di una sponda importante. La Russia non si fa alcun problema e si è fatta avanti. I benefici sono vicendevoli: Mosca rafforza la sua presenza nel Sahel e questi Paesi possono fregiarsi di parlare con una grande potenza.
Di che tipo di accordi con la Russia stiamo parlando?
Militari ed economici: si è parlato di infrastrutture ferroviarie, di energia nucleare. Con il Mali ma anche con il Niger. Lo scopo di Putin è di ridurre la presenza francese nel settore delle miniere di uranio. Se la cooperazione con gli europei diminuisce, la presenza russa, però, dati alla mano, non ha migliorato il quadro securitario. Basta vedere Mali e Burkina: gli attacchi dei jiahdisti sono rimasti invariati, se non addirittura aumentati.
Quanto la scelta del Niger può avere impatto sui flussi migratori?
Se il Paese resta ancorato a un modello di sviluppo che non è dei migliori e sceglie partner che tradizionalmente non hanno interesse a investire sul territorio, crea quei fattori, quelle circostanze per cui il transito dei migranti può diventare più consistente. Il Sahel è una zona di transito, ma se non si riescono a stabilire accordi per cercare di limitare il passaggio irregolare c’è un incentivo maggiore ad attraversare il Paese.
I russi in Africa sono dappertutto. Qual è l’obiettivo principale di questa loro presenza? A cosa mirano principalmente?
Vogliono accedere alle risorse del sottosuolo e far diminuire la presenza occidentale per crescere nella costruzione di un grande fronte globale anti-Occidente.
L’Europa paga soprattutto gli errori dei francesi, ormai poco graditi, oppure qualche sbaglio lo ha commesso anche la Ue?
Gli europei scontano gli errori di Parigi e un sentimento anti-francese che ha finito per diventare anti-Europa, poi il fatto che la collaborazione per la sicurezza del territorio ed economica non ha dato i risultati sperati, causando uno spreco di risorse, e infine la competizione con attori economicamente più forti come la Cina e militarmente più spregiudicati come la Russia, che in questo momento non è sostenibile. Inoltre le giunte militari africane non vogliono sottostare al principio di condizionalità.
La democrazia e il rispetto dei diritti per gli europei diventano una specie di zavorra quando si tratta di rapportarsi a questi Paesi?
Gli europei si pongono obiettivi ambiziosi, vogliono lavorare anche sulla governance di questi Paesi, migliorarla: non sono obiettivi raggiungibili nel breve. È molto complicato trasformare i Paesi africani in democrazie mature, è un processo non semplice e molte volte osteggiato da attori che perderebbero influenza in un sistema democratico. Quando questi attori, tra cui le forze armate, intervengono a gamba tesa e bloccano questi processi, l’Occidente si trova senza leadership riconosciute che sono fondamentali per continuare la sua opera. Ci sono Paesi come la Russia, invece, che non si fanno questi problemi. Se anche l’Europa si comportasse così, in modo più spregiudicato, visto il suo passato sarebbe subito accusata di politica neocoloniale, mentre gli altri Paesi, non essendo state potenze coloniali, propongono un’immagine apparentemente virtuosa, che però non corrisponde alla realtà.
Possiamo riuscire come Occidente, mantenendo i nostri valori, a rendere più efficiente l’approccio con realtà come quella africana?
Nel momento in cui cerchiamo di promuovere la democrazia e modelli di sviluppo inclusivi vogliamo creare ricchezza in un certo Paese o continente. Così facendo si diminuisce la possibilità che fenomeni criminali o di estremismo politico crescano, diminuiscono le possibilità di rivolte e si controllano anche i fattori che portano all’immigrazione. Questo è un obiettivo che può essere raggiunto in tempi lunghi mentre le dinamiche del mondo in cui viviamo oggi sono rapidissime. Poi ci sono fenomeni comunque difficili da gestire. Il problema migratorio va oltre i cinque anni di gestione che toccano a un governo, è un problema strategico.
Se l’Africa rimane quella che è, non c’è anche una responsabilità delle leadership locali?
Certo. Sono sempre attraversate dal problema della corruzione, del nepotismo, del tribalismo politico e sembrano non uscirne mai.
Consegnare l’Africa ai russi cosa significa in termini più generali, di politica globale?
Permettere che Russia e Cina accrescano la loro influenza in Africa pone un problema anche dal punto di vista economico: se aumenta l’influenza di altri attori diminuisce la nostra, delle nostre imprese e dei nostri stati per garantirsi mercati e risorse. Nella corsa allo sviluppo tecnologico puoi avere tutto il design che vuoi ma se non hai una supply chain stabile, sicura ed economica di materie prime critiche dipenderai sempre dagli altri soggetti. Si crea una sorta di ricatto che abbiamo sperimentato con gas e petrolio e che, se va avanti così, sperimenteremo anche con le materie prime critiche.
I francesi se ne stanno andando dal Niger, dove però ci sono anche contingenti americani e italiani. Questi riusciranno a restare?
Per gli italiani dipende anche dalle valutazioni che farà il governo. Adesso qualsiasi discorso sarebbe prematuro. Si potrebbe cercare di elaborare una strategia anche con gli Usa.
(Paolo Rossetti)
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