Paolo Benanti, professore della Pontificia Università Gegoriana, nonché unico italiano tra i membri del comitato ONU incaricato di redigere l’AI Act, ovvero il primo testo normativo su sviluppo, uso e gestione delle intelligenze artificiali, ha parlato dei questo documento sulle pagine di Repubblica. Afferma, subito, che “noi europei dovremmo essere felici perché ci protegge e ci tutela“.
Poco importa, secondo Benanti, se a causa dell’AI Act l’arrivo delle nuove tecnologie in Europa sarà tardato rispetto, per esempio, agli USA, perché “non possiamo pensare che qualcosa invada il nostro mercato creando dei possibili rischi senza averli valutati prima”. Complessivamente, inoltre, ritiene che i Big Tech, come “Microsoft che è stata la prima a integrare ChatGpt nei suoi prodotti”, vedano nell’Europa “un mercato molto importante”, al punto che saranno attente “a rispettare le direttive”. Centrale ed importante nell’AI Act, spiega Benanti, è la possibilità “per i cittadini di fare appello, per esempio in relazione a come vengono trattati i dati biometrici”. Sullo strumento in sé, ovvero l’intelligenza artificiale, però il docente ritiene che “se ben usata e regolamentata, può renderci migliori“.
Benanti: “AI Act vieta riconoscimento facciale ed emotivo”
Passando ai contenuti dell’AI Act, Benenti sottolinea innanzitutto il punto sul riconoscimento facciale, che sarà vietato, salvo casi estremi. Permettendolo, infatti, il rischio è di non capire più “chi possiede veramente l’identità” di ogni individuo, e “dire che in Europa non è possibile collezionare i volti delle persone è una bella novità”. Stesso discorso per il riconoscimento emotivo, perché “possiamo istruire l’IA a leggere dati che ci interpretano come macchine”.
Il rischio del riconoscimento emotivo senza le regole dell’AI Act, spiega Benanti, è che “potremmo trovarci davanti a una macchina che ci può persuadere con un testo e che ci può anche manipolare, fermandosi poco prima del livello di coscienza”. L’ultimo punto che ci tiene ad evidenziare riguarda il divieto per le IA ad assegnare punteggi sociali in base ai comportamenti, fatto nel quale “i social si sono già mostrati molto abili in casi di manipolazione come quello che ha riguardato la Cambridge Analytica”. Insomma, conclude Benanti, grazie all’AI Act potremmo giungere ad un futuro di convivenza migliore con le intelligenze artificiali, con il fine ultimo “di usarle per il bene di tutti“.