In cinque anni di visite settimanali al lager femminile di Koksu, ho imparato molte cose. Sul campo, direttamente, non consultando semplicemente statistiche né facendo qualche visita occasionale. Tra quelle donne ce n’erano diverse che erano là perché avevano ucciso il marito. Mi hanno raccontato che i loro uomini arrivavano a casa alla sera regolarmente ubriachi di vodka e infierivano in ogni modo contro tutti i membri della famiglia. Vi risparmio i particolari. Qualcuna aveva anche provato a rivolgersi alla polizia, ma non so se potete comprendere quale situazione sociale c’era nella Siberia asiatica dopo la fine dell’URSS.
Casi di violenza sulle donne erano all’ordine del giorno, oltre a numerose altre situazioni derivanti dal crollo di un mondo che stentava a ritornare normale. Probabilmente in molti casi quelle donne oggi sarebbero state assolte per legittima difesa, o almeno, avrebbero avuto tutte le circostanze attenuanti. Invece si trovavano là non solo senza il marito, ma anche spesso abbandonate dai parenti e in più con il senso di colpa per aver lasciato figli piccoli in una situazione molto, molto difficile.
È chiaro che racconto questo non per minimizzare la questione della violenza sulle donne, anzi. Mi pare piuttosto che condividendo l’urgenza di una sana educazione, soprattutto dei giovani, non posso non notare che settant’anni di educazione di una società basata sui principi del socialismo reale non hanno certo prodotto uomini nuovi, non violenti.
Anzi, come testimoniano molti altri fatti, masse di uomini, una volta che si sono attenuate le regole, o meglio, che si è potuto verificare che queste regole non avevano nessun fondamento spirituale, si sono lasciate andare ad ogni tipo di violenza. Questo dice del grave compito che anche oggi, qui, spetta anche alla Chiesa di non farsi escludere da questo compito di educazione, soprattutto dei giovani, accettando la sfida di mettersi in gioco anche su temi di cui non si vorrebbe parlare o che si vorrebbe affrontare solo in base a principi tutti da rifondare su un’esperienza di vita nuova, reale.
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