“No grazie, lui non vuole”. Avevo appena suonato al campanello per la visita alle famiglie e l’eventuale benedizione della casa, come si usava fare nel rito ambrosiano nel periodo dell’Avvento. Per la verità si usa ancora, ma siamo rimasti in pochi a continuare questo lavoro. Siamo rimasti in pochi perché i preti sono rimasti in pochi, ma anche perché alcuni sarebbero d’accordo di farlo, in linea di principio, ma sono troppo occupati e quindi non vanno o vanno su prenotazione. Così non rischiano di sentirsi dire: “No, non siamo interessati”. O peggio.
Questa volta però il lui che aveva deciso di non fare entrare il parroco non era un marito o un compagno della signora, ma un cane. “Sa padre, è lui che decide!”. Povera signora alle dipendenze di un cagnolino, e povero cagnolino caricato della responsabilità di fare certe scelte di vita. Che bei tempi quando ai cani si chiedeva solo di fare la guardia e un po’ di compagnia, in cambio di una zuppa e della libertà di fare qualche pisciatina ad orari stabiliti!
Non ho avuto il coraggio di domandare alla signora se adesso è lei a dover fare le sue pisciatine ad orari stabiliti da lui, intendo il cane. Capisco ora perché papa Francesco l’altro giorno si è permesso di osservare che da parte di molti c’è più attenzione per i cani che per gli umani, a cominciare da quegli umani, piccoli piccoli, che dopo aver schivato qualche metodo anticoncezionale ed essere scampati ad un aborto si arrischiano ancora a venire in questo mondo per fare una vita da cani.
Sia chiaro: non ce l’ho con i cani, che come tutti gli animali cosiddetti domestici sono stati deportati da secoli dai loro ambienti naturali e ridotti in schiavitù, anche se in alcuni casi in una forma di schiavitù dorata. Ma forse qualcuno di loro, una specie di Spartaco a quattro zampe, ha già cominciato da un pianerottolo di Porta Venezia la sua rivoluzione. E ogni rivoluzione che si rispetti, come ci insegna la storia recente, deve cominciare da una lotta contro la Chiesa.
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