Non è possibile ricostruire in modo esaustivo in un solo articolo tutte le vicende che hanno portato all’attuale situazione a Gaza. Indubbiamente però si possono indicare alcune tappe che possono agevolare il lettore nella comprensione delle vicende attuali.
Nel 2004, l’esercito israeliano intraprese un progetto unico nel suo genere nel deserto del Negev: la costruzione di una città araba fittizia. Questa città, realizzata con un investimento di 45 milioni di dollari, era una replica in scala reale con strade, nomi, moschee, edifici pubblici e automobili, simulando l’aspetto di una vera città araba. L’obiettivo era creare un ambiente di addestramento per le forze armate israeliane, in particolare per prepararsi a operazioni urbane simili a quelle che avrebbero potuto affrontare a Gaza.
Nell’inverno del 2006, la città fantasma era divenuta una replica dettagliata di Gaza. Questa mossa seguì le difficoltà incontrate dall’esercito israeliano nel conflitto a nord con l’Hezbollah libanese, spingendo a una preparazione più intensa per un confronto potenziale a sud con Hamas. Il capo di stato maggiore israeliano dell’epoca, Dan Halutz, dopo una visita al sito post-guerra in Libano, annunciò che i soldati si stavano preparando per scenari simili a quelli dei quartieri popolati di Gaza City.
Poco prima dell’inizio del bombardamento di Gaza, Ehud Barak, allora ministro della Difesa, assistette a una simulazione dell’assalto via terra alla città fittizia, osservando le truppe prendere d’assalto edifici vuoti e “uccidere” i “terroristi” nascosti al loro interno. Queste esercitazioni erano intese a preparare l’esercito israeliano per l’operazione “Piombo fuso” del 2009, un assalto reale a Gaza.
Nel 2009, l’Ong israeliana Breaking the Silence pubblicò un rapporto che rivelava come i soldati fossero stati addestrati ad attaccare Gaza trattandola come una fortezza nemica. Le testimonianze indicavano che l’addestramento ricevuto non prevedeva procedure per operare in contesti civili, ma piuttosto un approccio incentrato sull’uso di potenza di fuoco massiva e azioni sincronizzate via terra, mare e aria. Tra le pratiche più critiche vi erano la demolizione di case, l’uso di bombe al fosforo su civili e l’uccisione indiscriminata.
Questi metodi riflettevano una visione di Gaza come una prigione a cielo aperto, un modello che gli israeliani cercarono di imporre attraverso un assedio e un blocco, ma che non riuscì a piegare la resistenza palestinese. In risposta, gruppi politici palestinesi come Hamas lanciarono missili rudimentali, cercando di mantenere l’attenzione internazionale sulla loro situazione. Questa dinamica ha portato a quello che lo storico israeliano Ilan Pappé definisce “il genocidio incrementale della Palestina”, iniziato con l’operazione “Prima pioggia” (2006).
La militarizzazione della politica israeliana nei confronti della Striscia di Gaza è un tema complesso che richiede un’analisi dettagliata e accurata. Vediamo di riepilogarne qui solamente i presupposti.
Il processo iniziò intorno al 2005, quando Gaza iniziò ad essere gestita da Israele più come un obiettivo militare che come un’area densamente popolata da civili. Questo cambiamento di atteggiamento fu facilitato dal ritiro dei coloni ebrei da Gaza, parte di una politica unilaterale di disimpegno del governo israeliano, avvenuta dopo anni di insediamenti iniziati nel 1967.
Il primo ministro israeliano di allora, Ariel Sharon, decise di trasformare la Striscia in un’Area A, similmente a quella cisgiordana, per consolidare la presenza israeliana in Cisgiordania. Tuttavia, questo sgombero coatto dei coloni ebbe effetti inattesi, tra cui l’ascesa di Hamas, che prese il potere a Gaza prima attraverso elezioni democratiche e poi con un colpo di Stato, anticipando una potenziale vittoria di Fatah, supportata dagli Stati Uniti.
In risposta a queste dinamiche, Israele impose un embargo economico sulla Striscia di Gaza. Hamas reagì lanciando missili sulla città israeliana di Sderot, situata vicino a Gaza. Ciò fornì a Israele il pretesto per intensificare le operazioni militari usando forza aerea, artiglieria e elicotteri d’assalto. Secondo Israele, questi attacchi erano mirati alle zone di lancio dei missili, ma in pratica si traducevano in colpi su larga scala su Gaza.
Una svolta avvenne nel settembre 2005, quando i palestinesi di Gaza risposero intensificando il lancio di missili verso il Negev occidentale. Questa escalation seguì una campagna di arresti di massa da parte di Israele contro attivisti di Hamas e della Jihad islamica nell’area di Tul Karem.
La reazione israeliana a questi eventi fu appunto l’operazione “Prima pioggia”, una campagna militare di grande intensità. Questa operazione comportò voli supersonici su Gaza per terrorizzare la popolazione e pesanti bombardamenti da terra, mare e cielo. L’intento dichiarato era quello di indebolire il sostegno popolare a Hamas, ma in realtà rafforzò l’appoggio alla resistenza palestinese.
Da quel momento la politica israeliana in Gaza ha assunto una dimensione di crescente aggressività e militarizzazione, caratterizzata da operazioni punitive di vasta scala, che hanno provocato numerose vittime e danni collaterali. Questa dinamica ha ulteriormente complicato la già fragile situazione nella regione e aumentato il consenso di Hamas.
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