La grande tavola del Beato Angelico con le Storie dell’infanzia di Gesù che viene da Firenze, e che è esposta al Museo Diocesano di Milano (Chiostri di sant’Eustorgio) fino al 28 gennaio, ci trasporta nell’atmosfera del Natale attraverso nove immagini sacre ambientate nel Quattrocento, in pieno Rinascimento.
I colori, i costumi, le architetture gotiche, le prospettive, le figure allungate anch’esse alla maniera gotica, l’alta e raffinata spiritualità ci dicono che siamo di fronte a qualcosa che assomiglia a una grande pagina miniata uscita da un libro corale esposto sul leggio di qualche monastero. È un’opera di rara e preziosa bellezza, una pittura su tavola che misura un metro e venti per lato, divisa in nove riquadri (40 x 40 cm) che raccontano il Natale in un mondo diverso. Non solo il classico Presepio che tutti conoscono, ma un Natale descritto in una sequenza di nove episodi accaduti “prima” (i profeti e l’annuncio dell’angelo a Maria) e “dopo” la nascita di Gesù (la circoncisione, i re Magi, la presentazione al Tempio, la fuga in Egitto, la strage innocenti, Gesù tra i dottori del Tempio), quasi un fumetto ante litteram, con lunghe didascalie in maiuscolo latino a commento di ciascuna immagine. Il tutto ha un ritmo drammatico e insieme poetico. Alcune formelle sono fitte di personaggi, altre respirano di grandi spazi prospettici, alcune scene sono in penombra, altre in piena luce. I misteri della gioia si alternano ai misteri del dolore e il tutto assume un andamento musicale, con toni alti e toni bassi, pause e improvvise fughe.
La nostra tavola dipinta, con cui siamo ormai “entrati” nello spirito del Natale, viene dal convento di san Marco a Firenze, ma in realtà faceva parte di una delle due ante dell’Armadio degli Argenti, una “machina” particolare che si trovava nel santuario fiorentino dell’Annunciata, chiamata “degli argenti” perché in essa venivano esposti gli ex voto in argento che i fiorentini offrivano alla Madonna per le numerose grazie ricevute. Due ante con 32 riquadri con la vita di Gesù, non tutti dipinti dall’Angelico, ma sono certamente sue le nove formelle esposte a Milano che il geniale frate domenicano dipinse nel suo convento di Fiesole di cui era priore tra il 1452 e il 1454.
Percorriamo allora, come in una sacra rappresentazione, le tappe di queste nove stanze, quadri o “misteri” – così come preferiamo chiamarli – divisi su tre registri sovrapposti (3 + 3 + 3) e che si leggono come un cruciverba, in orizzontale e in verticale. Orizzontale è la sequenza temporale dei fatti, la cronaca degli episodi che riguardano Gesù dal concepimento di Maria ai dodici anni. Una lettura in verticale ci rivela invece il significato più profondo, la relazione che esiste tra momenti che apparentemente non hanno un rapporto diretto tra loro.
Nel primo riquadro una curiosa ruota (stranamente assomiglia a quella della fortuna) chiamata “Ruota mistica” tiene insieme dodici profeti nel cerchio più esterno e otto apostoli in quello interno, rivelando lo stretto legame esistente tra Antico e Nuovo Testamento.
A fianco segue l’Annuncio dell’angelo a Maria, ambientato in una cornice monastica, un bianco chiostro si apre su un giardino rinascimentale che ricorda il paradiso perduto. Lo spazio è assolutamente metafisico, chiaro, luminoso, e sul biancore dei muri si stacca il viola rosaceo della veste dell’angelo e il manto azzurro di Maria. L’angelo si dilata nello spazio, Maria quasi si ritrae e un piccolo sgabello ai suoi piedi suggerisce la profondità spaziale e preannuncia la presenza del Bambino e il legno della croce.
Sempre in prospettiva centrale, la scena successiva rappresenta la Natività di Gesù e, al posto dello sgabello, il Bambino adagiato per terra in estrema povertà, così come lo volle san Francesco nel suo presepio di Greccio.
La lettura in verticale, in corrispondenza della “ruota dei profeti e degli apostoli”, ci mostra la circoncisione di Gesù, gesto rituale che per gli Ebrei rappresenta l’ingresso a pieno titolo di un neonato nella comunità del popolo d’Israele.
Sotto, in corrispondenza della circoncisione, la Fuga in Egitto “strappa” Maria, Giuseppe e il Bambino da quella comunità ebraica a cui appartengono, rendendoli profughi in una terra straniera, l’Egitto.
Ci spostiamo di un riquadro e sotto l’Annunciazione troviamo l’adorazione dei Magi, nuovo “annuncio” fatto a tutte le genti della venuta del Salvatore; nel terzo quadro, sempre in verticale, Erode, cioè il potere (non come quello positivo dei saggi magi) vuole eliminare il Bambino, facendo uccidere a filo di spada tutti i maschi sotto l’anno. È impossibile qui non ricordare la strage di bambini compiute in questo anno 2023. Così come la fuga in Egitto ci ricorda tutti i profughi del mondo. Attualità estrema del Natale anche in una tavola del Quattrocento.
E siamo alla terza serie di immagini verticali in cui alla povera capanna di paglia, dove Maria e Giuseppe contemplano Gesù, si contrappone il ricco interno del Tempio di Gerusalemme, dove durante la presentazione del Bambino il vecchio Simeone e Anna la profetessa lo riconoscono come “l’atteso delle genti”.
Nella scena sottostante è l’intera sinagoga dei dottori del Tempio a riconoscere la sapienza di Gesù dodicenne. In quest’ultima serie la capanna e poi il Tempio e poi Gesù, vero tempio vivente, non più fisico ma spirituale.
Quest’opera esposta al Diocesano parla ancora oggi al cuore di una Milano distratta, capitale della finanza e del lavoro, non poi così diversa dalla Firenze dei tempi dell’Angelico, città dei banchieri e delle corporazioni. Allora come oggi la civiltà dell’immagine aveva un posto importante. Così i frati domenicani, predicatori per eccellenza, nel loro progetto comunicativo del Vangelo, avevano capito l’efficacia non solo delle prediche ma dell’arte, in particolare quella del Beato Angelico. Così si era scelta la via della bellezza (via pulchritudinis) per raccontare l’indicibile notizia di un Dio che si fa carne nel grembo di una ragazza di quindici-sedici anni. Seguendo questa particolare vocazione, fra Giovanni da Fiesole (1395-1455) – in arte Beato Angelico – realizzò tavole e pale d’altare a tema religioso, tra cui sette splendide Annunciazioni.
La sua ispirazione era la legge dell’amore (la dottrina della Lex amoris), e l’arte era ed è davvero un atto d’amore perché parla a tutti con un linguaggio universale. Lo ha riconosciuto Giovanni Paolo II nel 1982 dichiarando l’Angelico “beato” non solo di nome (così lo chiamavano i suoi contemporanei), ma di fatto. “Beato”, cioè colui che contempla la beatitudine del cielo. Attraverso le sue opere conservate nel museo fiorentino di san Marco ma anche a Orvieto, Cortona e in Vaticano, il Beato Angelico ci ha lasciato queste “visioni di cielo” che vanno oltre le parole e oltre i concetti, secondo la grande intuizione di Gregorio di Nissa (IV secolo): “I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce”. È bello immaginare che, in incognita, come un umile madonnaro, nella notte di Natale Beato Angelico dipinga sui muri delle strade di Milano il suo messaggio, la legge del Natale, legge dell’Amore.
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