La giornata del 20 dicembre è destinata a lasciare il segno nel futuro delle politiche dell’Unione europea per il significato delle intese raggiunte per il ripristino del Patto di Stabilità e la revisione dei Regolamenti per il contrasto dei flussi migratori illegali e l’accoglienza dei profughi, dopo un lungo e faticoso periodo di elaborazione delle proposte. Ma che potrebbe essere ricordato come l’occasione mancata di far evolvere il ruolo delle Istituzioni europee nella ricostruzione degli equilibri geopolitici che avranno un peso decisivo sul futuro dell’intero continente.
I risultati raggiunti rappresentano un ragionevole compromesso tra i diversi orientamenti degli Stati aderenti sui temi in questione, ma sono distanti dalle aspettative suscitate nel corso dell’emergenza sanitaria e dall’esigenza conclamata di mobilitare dei livelli adeguati di risorse economiche per rendere sostenibile una transizione economica che richiede ingenti investimenti per mantenere competitive le strutture produttive del Continente e per gestire i nuovi flussi migratori bilanciamento tra i fabbisogni del mercato del lavoro e quelli relativi alla sicurezza delle nostre comunità.
Gli obiettivi per il rientro dei deficit e i debiti dei bilanci pubblici sono rimasti sostanzialmente quelli del vecchio Patto di stabilità sospeso nel corso dell’ emergenza sanitaria. La novità è rappresentata dall’introduzione di percorsi di rientro più flessibili rispetto a quelli previsti dal Patto precedente tenendo conto della crescita dei debiti pubblici nel frattempo intervenuta. Vincoli che continuano a essere più rigorosi per i Paesi con debiti superiori al 90% del Pil, in assenza di politiche di bilancio europee più ambiziose e in grado di sostenere gli oneri degli investimenti per finanziare la transizione ambientale e digitale anche per i Paesi più indebitati. Per evitare che anche i nuovi vincoli aumentino gli squilibri a danno dei Paesi che si non si possono permettere una spesa pubblica espansiva e uno svantaggio competitivo dell’Europa rispetto altre grandi aree economiche.
La riforma dei regolamenti sulla gestione degli ingressi dei migranti irregolari ha il pregio di rafforzare la capacità di coordinamento tra gli Stati per far fronte ai flussi emergenziali, ma la redistribuzione solidale degli immigrati tra i Paesi aderenti rimane contingentata sulla quota minoritaria di quelli che riscontrano i requisiti di protezione internazionale. Mentre risulta debole rispetto a quelli che migrano per motivi economici, che rappresentano la caratteristica principale dei flussi dai Paesi d’origine. Verso i quali l’assenza di una strategia condivisa non consente nemmeno di gestire il rimpatrio dei migranti che non hanno i requisiti di protezione internazionale. Nel frattempo rimane confermata la responsabilità primaria del primo Paese di approdo per l’identificazione e l’accoglienza dei migranti irregolari, come previsto dai trattati di Dublino e dalle Convenzioni internazionali.
Le novità contenute nell’ambito delle intese non devono essere sottovalutate. I margini di flessibilità per le politiche di rientro per i deficit e per i debiti pubblici (l’esclusione dal computo del deficit del costo degli interessi sul debito pubblico e della quota degli investimenti per l’economia green e per la difesa) consentono di alleggerire i vincoli almeno nei primi anni del ripristino del Patto. Sul versante dell’immigrazione, il dispositivo di emergenza per affrontare le migrazioni irregolari asseconda alcune proposte avanzate dal Governo italiano sulla condivisione delle procedure di controllo e della redistribuzione dei migranti. Ivi compresi quelli che transitano spontaneamente verso Paesi diversi da quelli di primo ingresso che possono essere conteggiati per compensare l’eventuale mancato trasferimento dei profughi dai Paesi di prima accoglienza.
Le conseguenze di queste intese sono destinate a generare profondi cambiamenti nelle politiche economiche del nostro Paese. La richiesta di avere margini di flessibilità per i deficit di bilancio è sempre stata motivata dai nostri Governi, di diversa estrazione politica, nel corso degli ultimi 15 anni per aumentare la quota degli investimenti pubblici e per non deprimere la domanda interna e la competitività degli asset produttivi. Ma nei fatti i margini di flessibilità autorizzati dalle Istituzioni europee sono stati utilizzati per aumentare la spesa corrente. Nonostante la spesa aggiuntiva, la crescita dell’economia italiana è rimasta costantemente al di sotto della media europea, con l’eccezione degli ultimi due anni. Attualmente, e ancor di più nei prossimi anni, la crescita della spesa sociale e per i sostegni ai redditi tenderà ad aumentare a tassi superiori a quelli dell’economia per le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione in parallelo all’aumento del costo degli interessi sul debito prossimi che si avvicina alla cifra dei 100 miliardi di euro l’anno.
A questo carico deve essere aggiunto l’importo dei mancati introiti per le detrazioni del superbonus per le ristrutturazioni abitative e il fabbisogno di spesa per garantire nei prossimi anni la continuità degli sgravi contributivi sulle retribuzioni. Tanto per farsi un’idea, il fabbisogno delle coperture finanziarie aggiuntive per ridurre il deficit dal 4% della Legge di bilancio 2024, per riportarlo al di sotto del 3% del Pil per quella relativa al 2025, potrebbe superare i 30 miliardi di euro anche togliendo dal computo del deficit la spesa per gli interessi e l’importo degli investimenti green. In pratica la sostenibilità dei vincoli e della spesa sociale dipende esclusivamente dalla capacità di ottenere tassi di crescita superiori alle attuali stime con i maggiori introiti fiscali che ne derivano.
Un obiettivo possibile a tre condizioni: l’accantonamento di ogni proposito di allargare gli interventi dello Stato a sostegno delle prestazioni sociali e dei redditi; un aumento significativo del tasso di utilizzo delle risorse pubbliche destinate agli investimenti e della quota del risparmio privato canalizzata per le medesime finalità; la crescita dell’occupazione abbinata a quella della produttività e dei salari.
In teoria le disponibilità finanziarie per raggiungere questi obiettivi risultano superiori alla nostra capacità di utilizzo. È l’invecchiamento della popolazione e le sue conseguenze sulla riduzione di quella in età di lavoro e della propensione delle famiglie, delle imprese e delle istituzioni a investire, la criticità maggiore che riduce il carburante della ripresa economica e che alimenta in parallelo la crescita della spesa assistenziale.
Le criticità potrebbero essere in parte rimediate dall’attrazione di investimenti esteri e di risorse qualificate, tema che dovrebbe assumere un valore centrale, l’oggetto di politiche fiscali, industriali e del lavoro coordinate verso obiettivi di lungo periodo.
Il nuovo Patto di stabilità e le intese per riformare le politiche europee per l’immigrazione, con tutti i limiti segnalati, definiscono il perimetro di marcia e impongono alla nostra classe dirigente di fare i conti con il principio di realtà. La premessa indispensabile per riuscire a mobilitare le risorse, i comportamenti delle istituzioni e degli attori economici e sociali su obiettivi condivisi e in grado di tutelare l’interesse nazionale.
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