Ancora una volta (e siamo ormai ala terza votazione), il Cile non ha deciso che tipo di Costituzione vuole darsi: il 17 dicembre il progetto di una nuova Costituzione, ispirata all’attuale in vigore denominata “di Pinochet” perché nata sotto la dittatura, ma poi, col trascorrere del tempo, altamente modificata nel suo testo originale, è stata respinta con il 55,68% dei voti contro un 44,32% che si sono espressi a favore. Già nel 2022 un altro progetto di stampo “progressista”, presentato dal Presidente Boric, era stato respinto al mittente.
È un chiaro segnale pure il voto attuale con il piano elaborato dal leader del partito repubblicano Josè Antonio Kast, dell’ultradestra, che aveva confidato nel risultato dello scorso anno per sovvertire la Magna Charta cilena e poter, secondo il suo progetto, in caso di vittoria, proporre addirittura delle elezioni anticipate, interpretando l’eventuale successo come il rifiuto del Paese alla Presidenza “progre” di Boric, vista la sonora vittoria nelle elezioni per decidere la formazione della Costituente. Invece il tiro è andato storto anche questa volta e, a questo punto, il Presidente ha detto chiaro e tondo di voler accantonare definitivamente i cambiamenti, visti i risultati, anche perché “il Paese, in questo momento, ha problemi più urgenti da risolvere”.
Ricordiamo che l’innovazione dell’attuale Costituzione cilena, considerata un ostacolo per qualsiasi riforma sociale significativa, era stata decisa dopo giorni di violentissime proteste occorsi nel 2019 ufficialmente contro le disuguaglianze presenti nel Paese, che si conclusero con un bilancio di 30 morti. Il punto della questione è che i disordini occorsi, che comportarono anche l’incendio di chiese, furono la parte terminale di una pacifica protesta con il contributo, si scoprì successivamente, di gruppi di terroristi e agitatori arrivati da Cuba, Venezuela e Argentina, contraddisti da violenza inaudita, ottenendo l’effetto di allontanare la grande massa pacifica che aveva organizzato le manifestazioni e, come reazione all’accaduto, il rifiuto dato dalla gran maggioranza di votanti nel secondo referendum, quello “progressista”, dopo che una prima votazione, occorsa nel 2020, aveva visto prevalere con l’80% dei voti i sì a una nuova versione della Costituzione.
Non se ne parlerà più, a questo punto, ma bisogna riconoscere che tutte queste votazioni alla fine hanno rappresentato per il più giovane Presidente dell’America latina, di soli 37 anni, un’esperienza da dimenticare perché hanno in gran parte confermato come il Paese, con una grandissima tradizione di democrazia invidiata nel continente, non sia proprio contento della sua gestione e in definitiva voglia tornare a vivere una democrazia di stampo centrista, al di fuori degli estremismi, come ha sempre fatto dalla caduta del dittatore Pinochet.
La questione è che il Cile ha negli anni goduto di vere politiche di Stato raggiunte con accordi tra i partiti in causa che si impegnarono a rispettarle dopo aver vinto le elezioni, cosa che ha provocato un’alternanza di poteri davvero invidiabile e contemporaneamente un progresso economico grandissimo e una stabilità monetaria unica.
Il vero problema riguardava le classi meno abbienti che, sebbene a un livello superiore di benessere rispetto al resto del continente latinoamericano, avevano e purtroppo hanno ancora dei problemi sul sociale, visto che, ad esempio, sia l’istruzione che l’assistenza medica fornite dallo Stato sono da troppi anni di livello mediocre.
Ecco spiegate le proteste del 2019 e la necessità di una Magna Charta che potesse far evolvere la situazione, cosa che si pensava raggiungibile con un netto cambio di orientamento politico presidenziale, attuato con l’elezione di Boric nel 2022, verso un radicalismo progressista che però, una volta raggiunta la conquista del potere, ha mostrato di voler imprimere una svolta estrema proponendo tutto un arco di proposte riformative troppo radicali, che alla fine hanno trovato una sconfitta nel referendum dello stesso anno.
La debacle, questa volta dell’estrema destra, nell’attuale consultazione è un segnale chiarissimo di voler tornare a un’alternanza centrista (di destra o di sinistra) per poter continuare sul cammino passato che tanti risultati positivi aveva portato al Paese. Magari proseguendo con l’attuale Costituzione, che ne è stata sicuramente il motore. E basta quindi con il populismo, destra o sinistra che sia: i cileni vogliono vivere una vera democrazia dell’alternanza moderata. Punto.
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