È opportuno, per comprendere appieno gli eventi successivi al 7 ottobre in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, riandare alla crisi e alle violenze del 2021. La successione cronologica che dice che Gerusalemme continua ad avere un ruolo fondamentale, anche se nel conflitto in corso appare a prima vista, ma erroneamente, come un fatto secondario.
Nel maggio 2021, la tensione raggiunge un punto critico a Gerusalemme. Hamas lancia un ultimatum sorprendente il 10 maggio, esigendo l’annullamento della “marcia delle bandiere” israeliana, un evento annuale che celebra la Giornata di Gerusalemme. La marcia era pianificata per attraversare la Porta di Damasco, un’area sensibile situata nel quartiere musulmano della Città Vecchia. Questo evento è noto per attrarre giovani ebrei israeliani di orientamento nazionalista-religioso.
Le settimane che hanno preceduto la marcia sono state segnate da violenti scontri e tensioni. La polizia israeliana aveva limitato l’accesso al complesso dell’Haram al Sharif, un sito sacro per i musulmani palestinesi, portando a scontri nei pressi della moschea di Al Aqsa. Questo ha elevato ulteriormente la tensione, portando a un clima di estrema instabilità.
Hamas, in una mossa strategica, collega la questione di Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme, con il complesso della Spianata delle Moschee, mettendo in luce sia i problemi politici che quelli religiosi. Dopo l’ultimatum, razzi vengono lanciati da Gaza verso la periferia di Gerusalemme, segnando l’inizio di un nuovo capitolo nel conflitto.
Le Brigate Izz al Din al Qassam, l’ala militare di Hamas, rivendicano la responsabilità del lancio dei razzi, affermando che è una risposta diretta agli atti di violenza e alle violazioni israeliane a Gerusalemme e Sheikh Jarrah. Questo attacco segna l’inizio della quarta guerra a Gaza in tredici anni.
Sotto la guida del generale Aviv Kochavi, l’esercito israeliano reagisce con un’intensa campagna di bombardamenti su Gaza. Le vittime sono numerose: 256 palestinesi a Gaza, inclusi bambini e donne, e 13 israeliani, tra cui due bambini e sei donne. Anche in Cisgiordania si registrano vittime e feriti.
Entrambe le parti del conflitto evocano Gerusalemme nei nomi delle loro operazioni militari: “Spada di Gerusalemme” per Hamas e “Guardiano delle Mura” per Israele. La questione di Gerusalemme diventa quindi il fulcro dell’escalation militare.
Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, cerca di sfruttare la situazione per consolidare il suo potere politico. Hamas, dall’altro lato, mira a riaffermare il suo ruolo nel panorama politico palestinese, soprattutto dopo la sospensione delle elezioni da parte di Mahmoud Abbas.
Il 3 gennaio 2023, Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza di Israele, visita sorprendentemente la Spianata delle Moschee. Questa azione, vista come provocatoria, aggrava ulteriormente le tensioni. Ben-Gvir, noto per le sue posizioni di estrema destra, sfida apertamente lo status quo nella Città Vecchia di Gerusalemme.
La reazione di Hamas all’azione di Ben-Gvir è immediata e veemente. La dichiarazione del movimento enfatizza la difesa di Gerusalemme e della Moschea di Al Aqsa come principale motivo della loro lotta.
Con la presenza di Ben-Gvir e Smotrich nel governo, il linguaggio e il paradigma politico in Israele subiscono una trasformazione significativa. L’ascesa dell’estrema destra segna un cambio di rotta rispetto alla tradizionale posizione israeliana sullo status quo del Recinto sacro.
Il 7 ottobre 2023, un evento sconvolgente scuote il Medio Oriente. Le Brigate Izz al Din al Qassam, insieme al braccio armato del Jihad islamico, infrangono il blocco di Gaza, che per sedici anni ha isolato la Striscia su due lati terrestri e uno marittimo. Con un’azione audace e senza precedenti, circa millecinquecento miliziani entrano in Israele, attaccando basi militari e insediamenti civili. Questa operazione, denominata “Diluvio Al Aqsa”, segna un punto di svolta nella storia dei conflitti tra Israele e Palestina.
Di fronte a questa aggressione, Israele reagisce con intensi bombardamenti su Gaza. L’attacco, descritto come il più inatteso e devastante nella storia del conflitto, lascia un bilancio pesante: 1.400 morti israeliani, la maggior parte civili, e centinaia di feriti.
Mohammed Deif, capo delle Brigate Izz al Din al Qassam, in un messaggio audio trasmesso in televisione, rivendica la responsabilità dell’attacco. La sua apparizione, sebbene oscurata e indistinta, rappresenta una sfida diretta a Israele, una nazione che ha cercato più volte di eliminarlo.
Questa escalation del conflitto mostra come Gerusalemme e Gaza siano intimamente connesse nel contesto del conflitto israelo-palestinese. Per Hamas, l’attacco rappresenta non solo una risposta alle provocazioni israeliane, ma anche un tentativo di riaffermare la sua presenza sulla scena politica palestinese e internazionale.
Questi eventi hanno un impatto profondo sulla regione, influenzando non solo la questione israelo-palestinese, ma anche il contesto geopolitico più ampio del Medio Oriente e del Nordafrica. La questione di Gerusalemme, così centrale per entrambe le parti, continua a essere un fattore chiave nel perpetuare il ciclo di violenza e instabilità nella regione.
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