Il 2023 è stato un anno che si è aperto con molte aspettative in ambito previdenziale e che invece si conclude con molta delusione e parecchie promesse non mantenute. Dopo la scorsa Legge di bilancio in cui, effettivamente, il Governo aveva avuto pochissimo tempo per preparare dei provvedimenti incisivi sul capitolo pensioni e oltretutto avendo a disposizione pochissime risorse da impegnare perché la maggior parte era stato destinato a ristorare famiglie e imprese da esorbitanti aumenti delle bollette energetiche, nel 2023 l’Esecutivo aveva tutte le carte in regola per affrontare, finalmente, la questione previdenziale che a parole tutti i partiti vogliono risolvere, ma che in realtà poi nessuno vuole affrontare in maniera radicale.
Dopo le affermazioni della Premier Meloni che aveva dichiarato di voler approvare la Legge di bilancio entro metà dicembre, anche per dare un segnale all’Europa di forte compattezza della maggioranza, abbiamo assistito ai soliti “tour de force” notturni in Commissione per poi arrivare all’approvazione definitiva in Parlamento tra Natale e Capodanno. Niente di nuovo sotto il sole e in ambito previdenziale abbiamo avuto l’approvazione di taluni provvedimenti che sono stati addirittura peggiorati rispetto alla scorsa Legge di bilancio. Il rinnovo di Quota 103 con il calcolo tutto contributivo e l’allungamento delle finestre d’uscita, l’aumento di un anno di età di quello che rimane di Opzione Donna, l’aumento di cinque mesi dell’Ape sociale e un taglio alle pensioni anticipate di 700.000 dipendenti pubblici gridano ancora vendetta, ma anche quello che non è stato fatto ed era stato promesso dalla Ministra Calderone ha causato molti mal di pancia ai lavoratori come una mancata flessibilità in uscita e la totale assenza di provvedimenti auspicati come una pensione di garanzia per giovani e donne e interventi per implementare la previdenza complementare.
Ormai questo anno è andato, ma cosa dobbiamo aspettarci per il 2024 su un aspetto, quello previdenziale, che impatta così violentemente nella vita dei cittadini? Quale scenario si presenta su un tema che la stessa Presidente Meloni in Parlamento ha affermato poter diventare nei prossimi anni “una bomba sociale”?
Purtroppo, la situazione non si presenta per nulla rosea. Il perdurare di due guerre che indirettamente ci coinvolgono – e una in particolare nel cuore dell’Europa con costi da sostenere per armamenti molto consistenti – unito a una contrazione della produzione industriale, in particolare di quella manifatturiera, non consentiranno al Pil nel 2024 di crescere come si aspetta il Governo con previsioni di aumento rispetto al 2023 di appena lo 0,6%. Un debito pubblico che cresce costantemente e ogni mese fa un nuovo record avvicinandosi pericolosamente a 3.000 miliardi determina costi su interessi che saranno, come indicato nella Nadef di 88 miliardi nel 2024, 96 nel 2025 e addirittura 103 nel 2026. In pratica di soli interessi sul debito serviranno di risorse ogni anno come tre Leggi di bilancio.
Lo stesso Patto di stabilità e di crescita approvato recentissimamente dall’Ue, anche se migliorativo rispetto al passato, in pratica non ci consentirà come in questi ultimi anni Leggi di bilancio in deficit, e inoltre la sentenza della Corte Costituzionale del 30/5/2023 costringerà l’Esecutivo a intervenire per sanare una palese ingiustizia riservata ai dipendenti pubblici in merito alla corresponsione del loro Tfs/Tfr i cui costi sono quantificati in circa 14 miliardi.
Notizie in chiaro/scuro giungono invece dal fronte inflazione che scenderà intorno al 2,5% nel 2024 e dall’occupazione che ha sì raggiunto livelli record nel 2023, ma in molti casi con compensi troppo bassi, aspetto evidenziato recentemente anche dall’Ocse nel suo rapporto sulle pensioni, che ha affermato che pur avendo l’Italia i versamenti contributivi più alti tra i 38 Paesi dell’Ocse (33%), a causa di retribuzioni troppo basse e ferme da quasi vent’anni determina un flusso di versamenti contributivi inferiore a quello degli altri Paesi.
Il Governo tramite i suoi rappresentanti ha più volte affermato la volontà di approvare una riforma previdenziale che sia strutturale entro il termine della legislatura, spostando sempre più in là e sperando in un miglioramento dei conti, un intervento non più rinviabile. Personalmente ritengo che nel 2024 ci sarà una maggiore attenzione sulla previdenza complementare, magari con un aumento dell’importo da dedurre e una diminuzione della tassazione finale, si cercherà di fare qualcosa per le pensioni di garanzia di giovani e donne e si opererà una flessibilità in uscita solamente però nel solco del contributivo. L’impianto della previdenza in Italia sarà ancora garantito dalla Legge Fornero che, come scritto nella Nadef “ha migliorato in modo significativo la sostenibilità del sistema pensionistico nel medio-lungo periodo, garantendo una maggiore equità tra le generazioni”. Non ci sarà molto da scialare, quindi, in un sistema come il nostro a ripartizione con uno scenario economico/sociale difficilissimo appena evidenziato dall’Istat che ha confermato una fortissima contrazione delle nascite, una diminuzione degli over 40, giovani eccellenze nostrane che emigrano all’estero in grande quantità e un consistente aumento degli over 70.
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