Il Superbonus da panacea a fonte di tutti i mali sta finendo per diventare argomento dello scontro politico. Nessuno degli attori protagonisti della stagione del Superbonus ritiene di avere colpe. A ben vedere quest’ultime sono di tutti quelli che hanno partecipato alla formazione dei provvedimenti e alla loro applicazione. Il vero cortocircuito con ogni probabilità non è stato il Superbonus in sé, ma è stato innescato dall’aver concesso, in maniera indiscriminata, l’opportunità di cedere i crediti di imposta legati agli interventi edilizi. Tutti hanno interpretato la possibilità della cessione come l’obbligo per qualcuno a dover acquistare e, soprattutto, senza che vi fosse un limite agli acquisti (qui le colpe sono governative e della Ragioneria dello Stato).
Lo scenario dipinto dal Superbonus non era per nulla roseo per cui occorreva concludere la stagione del credito facile. Il Governo era sollecitato a usare la propria capacità fiscale per risolvere il problema, ma ha dichiarato che a conti fatti non era possibile proseguire oltre per le finanze pubbliche. Il ministro Giorgetti è stato chiaro: non c’era spazio per proseguire con una norma che aveva un conto senza limiti.
La soluzione messa in campo sembra lasciare tanti problemi e molti scontenti. Gli ultimi interventi sono serviti più a salvare la maggioranza, messa a dura prova anche dallo stop agli sconti fiscali per i calciatori, che a risolvere il problema. Il compromesso trovato non prevede proroghe alla agevolazione e/o Sal straordinari. Sul piano pratico, l’intervento messo in campo è lo stop ai recuperi delle agevolazioni per chi non ha chiuso i cantieri. L’intervento per allungare il 110% ai titolari di redditi più bassi che hanno avviato i lavori senza finirli, attraverso il meccanismo del fondo indigenti che ha una dotazione limitata a 164 milioni di euro, appare quasi irrilevante. Il Governo ha sintetizzato il suo intervento affermando che si tratta di un ritorno alla disciplina del buonsenso, rimarcando e rivendicando di aver evitato di varcare «il limite oltre il quale non si può andare».
Andando nel concreto degli ultimi provvedimenti, il proprietario di una villetta che ha in corso i lavori Superbonus e che sa che il 31/12/2023 è scaduta l’agevolazione del 110% dovrà, se porta in detrazione il bonus, aver pagato entro fine anno tutto l’importo necessario a coprire l’intervento, preoccupandosi di come garantirsi che l’impresa affidataria esegua poi i lavori pagati anticipatamente. In sostanza si tratta di un ritorno alle regole del mercato. Viene reintrodotto, dunque, il conflitto di interessi che dovrebbe guidare le transazioni commerciali che invece era stata abbandonato dall’ubriacatura della cessione dei crediti. Sembra avere poco spazio chi vuole cedere il bonus o chi intende chiedere all’appaltatore lo sconto in fattura. In entrambi i casi i provvedimenti sono fermi nell’imporre che si attesti che a fine 2023 l’intervento è terminato oppure che è stato raggiunto un Sal. In questo caso l’aspetto è delicato e la palla è nelle mani di chi deve attestare lo stato dei lavori al 31/12/2023. Anche qui si può concludere che sia stato introdotto un ritorno alla buona fede. Chi deve attestare, infatti, ne risponde in prima persona, per cui c’è da aspettarsi che ponga un freno alla deriva creata dall’assenza di responsabilità che ha caratterizzato gli anni precedenti.
Il bagno di realismo voluto dal Governo è stato ispiratore anche del “blocco” del regime fiscale di vantaggio per gli sportivi che entrano in Italia. Anche questo intervento era andato oltre la volontà iniziale. Dai dati disponibili emerge che dal 2019 a oggi si è registrato un incremento dei calciatori stranieri in Italia passati dal 55% al 65%. L’estate scorsa su 129 operazioni di mercato 64 sono state realizzate ricorrendo alle agevolazioni non prorogate e previste dal Decreto crescita favorendo un risparmio per i club di 140 milioni di euro. Dal 2019, l’incremento della presenza degli stranieri nelle giovanili è stato addirittura del 20%. Diciotto anni fa – stagione 2005-2006 – i minuti giocati da calciatori italiani nel nostro campionato era pari al 68%, attualmente si è attestato sul 33%. Anche qui, dunque, siamo di fronte a duna norma che è sfuggita di mano e che ha mostrato a tutti i danni fatti evidenziati dalla mancata presenza della nazionale ai mondiali. Si può sintetizzare affermando che gli italiani hanno “pagato” per guardare gli stranieri, anche quelli che giocano in Italia, partecipare alle fasi finali dei mondiali di calcio.
Traendo le conclusioni, dunque, la manovra è stata fatta senza che vi siano stati acuti per evitare che i conti andassero fuori binario. Occorre ora, però, che analogo realismo venga posto sulla spesa pubblica. I risparmi attivabili dal controllo della spesa costituiscono l’unica fonte per trovare quelle risorse finanziarie necessarie a normare provvedimenti che portino alla crescita del Pil e alla riduzione dell’indebitamento.
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