Dopo una vita da calciatore, ora Gianluigi Buffon è capo delegazione della Nazionale italiana, ruolo che fu di Gianluca Vialli durante l’ultimo Europeo. «Un ruolo di cui sono orgoglioso. Sarei un folle a pensare di poter trasmettere qualcosa come è riuscito a Gianluca. Cerco almeno di non farlo rimpiangere troppo, senza però scimmiottarlo. Faccio Gigi Buffon con i miei pregi e difetti, le mie profondità e superficialità», racconta l’ex portiere al Corriere della Sera. A differenza di alcuni colleghi che fanno fatica ad appendere gli scarpini al chiodo, lui è «veramente felice di aver smesso». Ora si sta dedicando ai molti interessi a cui aveva rinunciato in quanto la vita da calciatore è «totalizzante». Nell’intervista spiega di aver fatto il corso da direttore sportivo, mentre questo mese inizia un corso intensivo alla Bocconi in business administration.
«Finalmente, mi butto in una full immersion di inglese per poter dimenticare il livello scolastico che mi ha sempre tenuto in piedi ma con disagio». L’Arabia Saudita, invece, non l’ha mai tentato. «Mai». Oltre a ringraziare Mancini per l’emozione grandissima che ha regalato agli italiani, parla dei portieri in Serie A, nelle prime 5 in vetta ci sono squadre che tra i pali non hanno italiani. «Però c’è Vicario che gioca nel Tottenham, Meret che lo scorso anno ha vinto con il Napoli, Provedel in Champions con la Lazio e Donnarumma titolare fisso al Psg. Per i portieri italiani è un momento florido ci sono giovani promesse e grandi conferme», spiega Buffon.
BUFFON E IL FANGO SUL TEMA SCOMMESSE
Gianluigi Buffon parla anche degli Europei da difendere a giugno. Il capo della delegazione della Nazionale assicura che «vedremo una squadra, che è la prima cosa che interessa alla gente e che ci deve rendere orgogliosi». Nell’intervista parla anche delle scommesse, visto che era con Tonali e Zaniolo a Coverciano quando sono arrivate le forze dell’ordine. «È un tema molto delicato. Credo sia sbagliato criminalizzare e non fare dei distinguo. Scommettere di per sé non è reato, gli stadi stessi e le trasmissioni sportive sono pieni di pubblicità di App di questo genere e lo Stato incentiva il gioco. Se invece un calciatore scommette sul calcio va incontro a punizioni che giustamente devono essere inflitte; ma se scommette sulla pallavolo, sul basket, sulle corse dei cani… non sta commettendo alcun reato».
La situazione peggiore con la ludopatia. Per Buffon bisogna spiegare una cosa ai ragazzi: «Non è che se si fanno continue scommesse da 1 euro trascorrendo ore e ore davanti alla App, allora è un tutto ok; mentre se uno spende 1 milione in un’unica occasione allora è ludopatico». L’ex portiere ricorda che «la patologia nasce dalla dipendenza, la continuità con cui si fa una cosa. Non mi piacciono i bacchettoni che giudicano con una superficialità aberrante senza sapere poi realmente quali siano le motivazioni». Buffon lo dice per esperienza: «Ci sono passato anche io venendo infangato senza aver commesso nulla: quando le cose si chiariscono, ci si dimentica di spiegare e chiedere scusa e si lasciano le persone con un’etichetta addosso. Lo trovo profondamente sbagliato».
BUFFON, DAI GENITORI AI FIGLI
Nell’intervista c’è spazio per ricordare i suoi inizi e parlare della sua carriera. Ad esempio, la partita più emozionante per lui è la partita della Juventus contro il Real Madrid nel 2018: «Non passammo il turno, ma giocammo una partita eccezionale che meritava un altro epilogo». La coppa che ha alzato con maggiore soddisfazione è quella del Mondiale 2006: «Esserci riuscito mi fa sentire un privilegiato». Riguardo gli inizi, l’ex portiere ricorda di aver tifato Juventus da bambino e di essere stato “rapito” da Trapattoni. «Poi dai 12 anni iniziai a tifare Genoa, avevo degli zii sulla cui macchina era incollato un grande adesivo con il Grifone. Una squadra magica, con una tradizione antica e una tifoseria bellissima». La sua ascesa, comunque, fu travolgente. Ma Buffon ha potuto sempre contare sul supporto della sua famiglia. «Mio padre è friulano, quindi con un modo di dimostrare affetto e sentimenti un po’ freddo, ma è sempre bastato uno sguardo o una frase per farmi capire quello che gli faceva piacere e quello che non apprezzava».
Quando Buffon iniziò a giocare a Parma il padre smise di allenare. «Era in Promozione, poteva ambire a serie superiori, ma voleva starmi vicino. La sua era una presenza costante ma discreta. Alle partite lo notavi perché era quello da solo, in disparte. E io, che caratterialmente sono diverso, faccio la stessa cosa: quando guardo giocare i miei figli resto in un angolo da solo». Della madre, invece, al Corriere dice che è «unica e irripetibile». A proposito dei figli, racconta che Luis, il più grande, ora gioca a calcio nel Pisa. «David invece al CBS, una squadra di Torino affiliata al Milan. Mentre Leopoldo sta facendo sport: gioca a basket, ogni tanto prova il calcio, ma se volesse fare anche tennis, pallanuoto o pallavolo lo porteremmo a fare anche quello».