La loro vita è stata un fantasioso film dell’errore. Errori così belli che, con il senno di poi, sarebbe stato uno sbaglio non commetterli. Un “senno di poi” che ha i lineamenti di un bel sorriso sul volto di un Bambino appena nato: “Videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono, lo adorarono“. Quando lo videro, ripensarono a tutti gli errori commessi lungo la strada: “Più che errori, Gaspare – mi immagino sia Baldassarre a parlare coi compagni di viaggio – penso siano stati dei tentativi reiterati di felicità. Che dite?”.
Di sbagli, sinceramente, fu pieno il loro viaggio. Esperti di astronomia, in fatto di geografia mostrano evidenti limiti di conoscenza: arrivano nella città sbagliata, s’imbottigliano nel magma confuso di Gerusalemme. Qui, nella città importante, è plausibile che sia nato il Re, non in un’anonima Betlemme bistrattata con risa e bisticci paesani. Non bastasse, si ritrovano a chiedere lumi e a discutere del Bambino con l’uomo che, nella città, più odia i bambini: Erode, vecchio mastino d’infanti. Da lui, ironia della sorte, più che un aiuto si beccano l’arrogante pretesa di sporcarsi i piedi al posto suo. Lercio opportunista: “Andate, informatevi accuratamente sul bambini e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo“. Loro si accorgono di essere andati fuori strada solo quando il Cielo risponde col buio a questa scampagnata nel cortile di Erode: spegne loro il lampadario della stella. Li lascia brancolare al buio, da solo in preda alle parole del macellaio crudele.
Lì, intrappolati in una strada a vicolo cieco, è Melchiorre stavolta a prender la parola: “Che ne dite: non riesco a capire se ci voglia più coraggio per tentare di proseguire o per ritornare nel nostro Oriente, a dilettarci studiando le stelle”. Tempo di finire, interviene Baldassare: “Io, da parte mia, non è che mi scoraggi granché di questi nostri sbagli fatti: ogni tentativo scartato è un passo che noi stiamo facendo per arrivare là, nel posto giusto. È un gioco ad eliminazione la nostra ricerca del Bambino”. La scimmia ha imparato a saltare dall’albero dopo diversi tentativi dice il popolo che ha la pelle ricamata di nero.
Questa, a ragione di logica, fu la loro intelligenza: più che trattarli come fallimenti di cui provare un po’ di vergogna, si dissero ch’erano pur sempre dei tentativi di cui andare fieri. Il Cielo, piaccia o non piaccia, diede loro ragione. Tempo di illudere Erode che gli avrebbero fatto da chierichetti, appena infilarono il portone della reggia, videro il segnale stradale riaccendersi. Nuovamente, sfavillando nel buio: “La stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il Bambino“. Funziona sempre così: che a forza di inciampare, un passo avanti lo si fa comunque. “È una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto, abbandonare tutti i sogni perché uno non si è realizzato, rinunciare a tutti i tentativi perché uno di loro è fallito” (A. de Saint-Exupéry). È il momento che segue lo sbaglio e l’errore ad essere cruciale: puoi continuare a difendere quello che eri, oppure insistere a ricercare di chi sei davvero. Scrive Elie Siegel: “Se un errore non diventa un trampolino di lancio, è un errore”.
Errori che nella vita dei nostri Magi sembrano non finire mai. Dopo avere sbagliato città e cannato di grosso l’interlocutore a cui chiedere informazioni in merito, sbagliano anche le misure: s’aspettano un Re – “Dov’è colui che è nato, il Re dei Giudei?” (cfr Mt 2,1-12) – e trovano un Bambino. L’immaginano seduto su di un trono e lo pizzicano in braccio a una Madre poco più che ragazza.
Insomma: hanno fatto un sacco di errori i Magi, si sono autoproclamati i santi degli sbagli. Alla fine, però, loro son giunti a destinazione: la storia dimostra che i capolavori non sono altro che dei tentativi riusciti. Arrivano nel presepe per ultimi, a testificare che a Dio si potrà arrivare anche dopo una serie infinita di sbagli: è tipico di una storia d’amore la certezza che l’ultimo tentativo resterà sempre il penultimo.
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