Ecco, una notizia come quella riportata dal Mattino su ascensori e scale mobili fuori uso da mesi in alcune stazioni della metropolitana di Napoli fa cadere le braccia. Non perché non sia doveroso occuparsi della manutenzione degli impianti – questo il motivo del blocco -, ma per la mancata segnalazione al pubblico del problema, la lunghezza degli interventi riparatori, l’incapacità a offrire un’alternativa che funzioni davvero e non solo sulla carta.
Una piccola attenzione avrebbe potuto risarcire gli utenti – che poi sono cittadini e turisti che in buona parte pagano le tasse o spendono sul territorio – dal malfunzionamento del servizio evitando inutili disagi e cattive impressioni. Insomma, con un po’ di buona volontà e un minimo senso del dovere questa partita si poteva affrontare in tutt’altro modo. Allestire cartelli, spiegare il fatto, assistere i più fragili non avrebbe dovuto comportare uno sforzo insopportabile.
Se è potuto accadere il contrario, tanto da aver richiamato l’attenzione della stampa (e forse qualcosa adesso cambierà), è per quel misto di sciatteria e strafottenza che sta condizionando i comportamenti di un numero sempre maggiore di persone. D’altra parte, se tutti fan così vorrà dire che ci sarà un buon vantaggio a voltarsi dall’altra parte. Quantomeno si risparmiano energie e non ci si va a impicciare di fatti che potrebbero ritorcersi contro.
Episodi del genere non possono essere classificati come marginali perché non fanno bene all’immagine e alla reputazione di una città che sta faticosamente cercando di venir fuori dal pantano economico e amministrativo nel quale l’aveva precipitata la decennale sindacatura di Luigi De Magistris. Se il suo successore Gaetano Manfredi vuole davvero restituire forza e dignità all’antica capitale del Mezzogiorno non può sottovalutare episodi del genere.
È fin troppo evidente che dal primo cittadino e da tutto ciò che si può definire ceto dirigente ci si aspetti di ricevere il buon esempio a partire dall’espletamento dei propri uffici. Questa è una condizione necessaria ma non sufficiente a far cambiare le cose. L’impegno per la miglior conduzione dei rispettivi compiti deve allargarsi e andare quanto più possibile in profondità attraverso un moto contagioso questa volta auspicabile e positivo.
Chi subisce la violenza del cattivo trattamento in metropolitana è magari colui o colei che ritarda la definizione di una pratica, si assenta senza un buon motivo dal lavoro, parcheggia in doppia o tripla fila con l’oltraggiosa aggravante di accendere le quattro frecce, imbocca con arroganza i controsensi, getta le carte a terra. L’elenco delle cattive abitudini è molto lungo e ben conosciuto. Ma ci abbiamo fatto il callo e spesso non ce ne accorgiamo nemmeno più.
Perché prendersi la briga di procurarsi un foglio di carta e un pennarello – o un computer con stampante – e scrivere un messaggio che potrebbe risultare sbagliato o scorretto? Perché assumersi una responsabilità, per quanto lieve, se l’ipotetico errore può essere sanzionato e il merito mai premiato? Perché rischiare in una società che tollera omissioni e deviazioni mentre perseguita l’intrapresa e ha messo al bando il buon senso?
Ancora una volta occorre ammettere che una società matura ha bisogno dell’atteggiamento virtuoso di tutti i suoi membri o perlomeno della sua maggior parte. Se ciascuno dei cinquecentomila adulti che ogni giorno calcano il suolo cittadino indulgesse in una sua piccola o grande infrazione, o negligenza, non ci sarebbe scampo per nessuno tale sarebbe il caos e il malcontento. Ci vuole il coraggio di andare controcorrente. E fare bene.
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