Lo scrittore e documentarista Emmanuel Exitu ha rilasciato un’intervista per La Verità, nella quale ha parlato, brevemente, della sua vita e del suo ultimo libro, “Di cosa è fatta la speranza“, nel quale traccia una biografia di Cicely Saunders, l’infermiera che ha dato vita agli hospice per i malati terminali. Partendo dal suo nome d’arte, racconta che uno è quello di battesimo, mentre il cognome deriva da quando lesse, all’università, “In Exitu di Testori. Un monologo riletto tre volte di seguito” grazie al quale si è sentito “rigenerato”.
Rimanendo sempre sulla sua vita, Emmanuel Exitu ricorda che “ho frequentato la scuola per odontotecnico, ma non volevo farlo. Ho superato il test di medicina, ma mi sono iscritto a filosofia, gettando i miei nello sconforto”, per poi, infine, laurearsi “in poetica e retorica” con una testi, peraltro, “su In Exitu“. Ne seguirono una serie di esperienze, sempre al limite, nelle quali ha conosciuto la speranza vera e propria, sottolineando che “non avendola, valeva la pena guardare a chi ce l’aveva”. Così, Emmanuel Exitu conobbe la figura di Cicely Saunders grazie ad un libro, “Vegliate con me“, della quale oggi ne parla come di “una gran rompicoglioni, una testa dura”, che “è andata a vedere cosa si poteva fare dentro la paura per la morte”.
L’esperienza di Emmanuel Exitu negli hospice
Il mondo degli hospice e delle malattie terminali, così, è diventato centrale nella vita e nella carriera di Emmanuel Exitu, che oggi ci tiene a porre l’accento sull’importanza e la bellezza della speranza, “qualcosa che ti sorprende. Non si possiede, ma è una scoperta continua, che toglie il fiato”. Degli hospice ne parla come di luoghi “che uniscono persone diverse”, sempre nel segno della speranza e dell’aiuto, perché “nella zona del fine vita cadono certezze e sistemi di pensiero“.
La morte, d’altronde, secondo Emmanuel Exitu “fa parte della vita“, mentre oggi si tende a vivere “immersi in una cultura che la rimuove”, mentre lui ritiene che “difendere la centralità della vita vuol dire superare le gabbie del relativismo”. Nella modernità, inoltre, la reale cura alle malattie terminali altro non è che “l’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, nella quale si decide insieme” e non l’eutanasia, che secondo Emmanuel Exitu, è il modo con cui si nega quell’esperienza fondamentale della vita che è il viaggio verso la morte, in cui ci si riscopre “fragili” ed attaccati ai propri cari, oltre che a quella stessa vita che sta per giungere alla sua inevitabile fine.