I giovani sono stati protagonisti degli ultimi interventi sia del Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella che del Re di Spagna Felipe VI.
Mattarella ha sottolineato nel suo messaggio di fine anno che nello “scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non riescono a capire e di cui non condividono il modo di camminare e di comportarsi. Un disorientamento che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese”.
l Re, in Spagna, nel suo discorso in occasione del giuramento alla Costituzione della figlia ed erede al trono, ha detto alla Principessa Leonor: “Sei parte e rappresenti una nuova generazione che, come quelle che ci hanno preceduto, avrà i suoi ideali, il suo modo di vedere e comprendere la vita, la sua visione del mondo. E avrà anche le sue sfide… Devi sapere che la democrazia e la libertà non si costruiscono da un giorno all’altro, ma giorno dopo giorno; e richiedono una cura continua e un miglioramento permanente”. La sfida è aiutare i giovani a trovare il loro posto nel mondo, la sfida è far loro abbracciare un ideale che serva a costruire.
Mi sono tornate in mente alcune parole di don Giussani quando ho ascoltato il Presidente della Repubblica italiana e il Re di Spagna.
“Non sono qui perché voi riteniate come vostre le idee che vi do io, ma per insegnarvi un metodo vero per giudicare le cose che io vi dirò”. Giussani, dalla cattedra del Liceo Berchet a metà degli anni Cinquanta, sfida i suoi studenti con queste parole. Così inizia una delle scene della mia biografia del fondatore di Comunione e Liberazione. La risposta educativa di Giussani al disorientamento dei giovani mi sembra di grande attualità.
Il sacerdote di Desio vede le conseguenze di un insegnamento apparentemente neutrale che non fornisce alcun criterio con cui affrontare la vita, un’educazione che genera incredulità e sfiducia. Il suo intento è che i giovani acquisiscano un’autentica libertà di giudizio e di scelta. Non giudicheranno, né eserciteranno la loro capacità di decisione senza avere acquisito un criterio. E si rende conto che quel criterio diventa operativo solo se arriva loro attraverso l’esperienza di un’autorità, di una persona con una coscienza ricca.
Nel rapporto con gli studenti scopre che se non hanno una chiave interpretativa della realtà e della vita diventano prima scettici e poi, da adulti, fanatici. Per questo li sfida con la lettura di un testo, con un brano di musica o facendoli riflettere sulla loro vita quotidiana. Quello che dice, lo dice sempre in prima persona. Comunica se stesso, comunica ciò che lui ha vissuto. È il suo modo di provocarli perché percorrano liberamente la loro strada. Il suo linguaggio è diretto, nuovo. “Vi sfido, vi sfido a trovare qualcosa di più̀ interessante per la vostra vita di ciò̀ che vi dico!”, dice Giussani. “Se non volete alienarvi e diventare schiavi di coloro che hanno il potere, dovete abituarvi subito a paragonare alla vostra esperienza ogni cosa che io vi dirò, ma anche ogni cosa che altri vi diranno!”.
Quegli anni fecero maturare in questo grande educatore la convinzione che “la prima cosa importante da fare sarà chiedere ai giovani di affrontare seriamente, di vivere consapevolmente la loro umanità. La loro esperienza umana non è questa cosa più di ogni altra, ma tutto ciò che sperimentano, sentono e vivono. Se non si è presa sul serio tutta la propria umanità, non si potrà cogliere la risposta che essa attende”. “La seconda cosa da chiedere – dice – è la consapevolezza viva che la mia umanità da sola non risolve i suoi problemi, non riesce a trovare una risposta a tutto: è il senso di dipendenza da qualcosa che va oltre me stesso. Non dobbiamo negare l’esperienza umana; non dobbiamo presentare la grazia (il cristianesimo) come un’abolizione della natura, ma come una risposta soprannaturale alla natura stessa”.
Questa esperienza educativa, questo modo di intendere il cristianesimo, sono ancora di contundente attualità. Un cristianesimo capace di favorire questo tipo di esperienza può dare un contributo significativo a contrastare quello che Mattarella chiama disorientamento.
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