DAVIDE VAN DE SFROOS, LA FEDE E LA RICERCA CONTINUA DEL RAPPORTO CON DIO
Si chiama “Manõglia” il nuovo album di Davide Van De Sfroos e i lettori del “Sussidiario” avevano già avuto modo lo scorso ottobre di scoprire in anteprima i temi più intimi e le testimonianze “discrete” del grande cantautore laghée. Nella recente intervista al settimanale “Credere” è lo stesso Van De Sfroos a raccontare, partendo dal nuovo disco, il suo percorso di vita che si accompagna ormai insolubilmente alla sua ricerca religiosa.
«Mi sento come un viaggiatore», racconta il cantante originario del Lago di Como, «Non mi sono mai sentito beato o arrivato: mi sarebbe piaciuto. Ho cercato Dio sotto tutti i nomi, sotto tutte le forme, come l’uomo che si arrampica sulla roccia e mentre sale continua a cadere, si scortica, ma va sempre più su. Scivola indietro, a volte torna quasi fino a terra, ma riprende a salire e sogna di arrivare finalmente su quella cima e guardare giù». La fede, la rinascita, la nostalgia e il desiderio di una continua ricerca del Senso: Davide Van De Sfroos nel suo “Manõglia” (dal dialetto, il fiore magnolia) inserisce tutte queste tematiche perché semplicemente parla di sé e della propria di ricerca. «Quotidianamente ci sono momenti in cui incontro tutti i miei demoni e tutti i miei angeli, chiamiamoli così, e quel Dio che a volte mi tratta come se non fossi connesso con il bluetooth e non riuscissi a comunicare, a volte mi prende di peso per farmi vedere i casini che sto creando».
L’ALBUM E IL PARADISO: LA TESTIMONIANZA DI VAN DE SFROOS
Eppure, nonostante questa “lotta”, questa “disconnessione” che capita, Van De Sfroos ammette di non ascoltare Dio sempre credendo di poterlo quasi ingannare: «Ma il fatto che spesso io e Dio siamo in lotta vuol dire che siamo ancora molto legati. Io litigo solo con le persone che amo, non ho mai litigato con uno sconosciuto gratuitamente, anzi scappo via lontano perché non so assolutamente né chi sia né se ne valga la pena». Canti alla Madonna descritta come “Regina del Tutto”, brani in cui il senso religioso traspare in ogni riga del testo: «C’è anche il vento, quello della sera che arriva come una carezza che non fa distinzione. Ecco, questo vento per me è lo Spirito, il soffio del miracolo. Quando arriva, questa beatitudine non ha mira: colpisce l’ultimo vagabondo, il signore sulla Rolls-Royce, colpisce colui che non si ricorda neanche più cosa sia lo spirito».
Invita a tenere sempre aperta la porta del cuore ricordandosi che la realtà, i figli, la famiglia e tutto è sempre un “dono” non di “nostra proprietà”: confidando le sue preoccupazioni, Van De Sfroos ammette di curarsi sempre meno dei risultati in termini di vendite e successi dei suoi album, ma commenta «Lo so che “sono solo canzonette”: però dentro hanno sempre una provocazione umana che deve servire a girare quella chiave misteriosa che son convinto tutti continuiamo ad avere. Vorrei riuscire almeno a far scattare quella serratura verso un qualcosa di giusto».
Esaltando la natura come una delle dimensioni fondamentali della vita, e inserita in più canzoni dell’ultimo album, Davide Van De Sfroos sottolinea a “Credere” come la natura possa tranquillamente definirsi la “password di Dio” a cui poter anche non credere ma che non può non stupire: «dobbiamo imparare a vivere con coscienza e non per paura del castigo, come se ci fosse quel drone di Dio che ci sta controllando quando nessun altro vede. Non sarebbe meglio fare certe cose automaticamente, senza la paura del giudizio e non perché ho paura di essere taggato da qualche arcangelo?». Citando la scienziata atea Margherita Hack, che parlava di fare i bravi perché «vogliamo il Paradiso», Van De Sfroos si dice in piena sintonia «Io che non credo mi comporto bene già qui perché eticamente penso sia giusto così». Nell’intervista al nostro Paolo Vites lo scorso ottobre, il cantautore ribadiva questo semplice concetto: «Questo disco nomina ogni tanto la malinconia, ma non è un disco di piagnistei, non ti deprime, dovrebbe darti quella calma iniezione di bellezza cosmica che ti dà la brezza serale. Alla fine riparare un destino sfondato è una forma di amore».