Nel caotico teatro del Medio oriente, una domanda ha recentemente scosso i corridoi del potere internazionale: “Gli Stati Uniti sanno quanti altri membri di Hamas rimangono ancora da uccidere per sradicare quell’organizzazione?”. La domanda, posta a John Kirby, portavoce della sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha risuonato con un tono di sfida e sarcasmo, riflettendo l’acuirsi delle tensioni tra Israele e Hezbollah, e sollevando interrogativi sulla possibilità di una guerra totale. La risposta di Kirby, che ha riconosciuto la “posizione di forza significativa” di Hamas, sottolinea una realtà inquietante: nonostante gli intensi sforzi militari, l’obiettivo di Israele di eliminare Hamas sembra rimanere irraggiungibile.
Questa impasse militare ha portato a una tragica e involontaria conseguenza: l’aumento delle vittime civili. Il rapporto tra le vittime civili palestinesi e libanesi e i militanti di Hamas/Hezbollah uccisi da Israele sembra essere inversamente proporzionale. Con oltre 22mila civili, di cui il 70% donne e bambini, uccisi a Gaza, emerge un quadro sconcertante della realtà del conflitto. Le immagini satellitari forniscono ulteriori prove inquietanti. Israele ha sganciato più di 29mila bombe su Gaza, di cui circa il 45% non guidate, colpendo indiscriminatamente le aree civili. In particolare, l’uso delle bombe MK-84, capaci di creare crateri di 15 metri di diametro, sfida la narrazione di un attacco “chirurgico” da parte di Israele, suggerendo piuttosto un approccio più brutale e meno discriminato. L’avvertimento di Netanyahu a Hezbollah rivela una strategia di guerra che intenzionalmente prende di mira i civili, un approccio che Israele ha adottato in passato e che ora minaccia di estendere al Libano. Questa strategia è una dimostrazione delle crescenti tensioni nella regione, che alimentano le paure di un conflitto allargato.
Tuttavia, la realtà sul terreno suggerisce che Hezbollah, pur essendo una forza notevole, non è in grado di contrapporsi militarmente a Israele in un conflitto aperto. La sua struttura, più adatta alla guerriglia che alla guerra convenzionale, e la consapevolezza delle devastanti conseguenze di una guerra totale, rendono improbabile una tale escalation da parte del gruppo sciita. In questo intricato contesto, il ruolo degli attori internazionali diventa cruciale. La possibilità di fermare il massacro a Gaza potrebbe essere nelle mani degli alleati di Israele, in particolare gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Va però detto che la loro riluttanza a imporre sanzioni o interrompere la fornitura di armi a Netanyahu pone interrogativi sulla loro complicità nel conflitto in corso.
In conclusione, mentre una guerra totale tra Israele e Hezbollah rimane un’eventualità temuta, è evidente che la situazione attuale è il risultato di una complessa rete di cause, tra cui strategie militari fallimentari, politiche internazionali e dinamiche regionali. La risoluzione di questo conflitto richiederà non solo un ripensamento strategico da parte di Israele, ma anche un impegno più attivo e responsabile da parte della comunità internazionale.
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