Herfried Münkler è stato a lungo docente ordinario alla Humboldt Universität di Berlino, studioso di Machiavelli e degli equilibri internazionali di potere. La definizione di “politologo”, che Wikipedia gli attribuisce, gli si addice solo parzialmente, dato che per anni ha lavorato, anche sul piano filosofico, sui meccanismi che regolano i rapporti di potere tra e negli Stati e all’interno delle società, occupandosi, in un suo celebre libro anche dei cosiddetti “imperi” (tr. it.: Imperi. Il dominio del mondo dall’antica Roma agli Stati Uniti, Bologna 2008) che segnano e modificano la storia e che non sono affatto un relitto del passato.
Membro del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) sin dagli anni giovanili, è stato anche consulente per la politica estera del medesimo partito: di lui molto si può dire, ma certamente non che possa essere in qualche modo ascrivibile a quella corrente di pensiero politico che oggi si usa definire come “sovranista”. Anzi, secondo Münkler i nazionalismi non sono la soluzione, ma il relitto di un passato che non passa quando la politica si confonde con la demagogia.
Tra le sue pubblicazioni degli ultimi anni ce n’è una dedicata al nuovo ruolo che la Germania è chiamata ad assumere nel quadro politico internazionale, dopo la fine del bipolarismo USA-URSS: Die Macht in der Mitte (“La potenza al centro”), pubblicata nel 2015. Il titolo non deve trarre in inganno, dato che il volume non propone affatto una centralità statuale forte come forma di controllo sui Paesi vicini, ma un’assunzione di responsabilità derivante dalla propria collocazione geopolitica. Di fronte alla crisi evidente – se pur ben mascherata – delle istituzioni europee, l’autore si chiede quale sia il compito storico che la geopolitica assegna oggi alla Germania, la cui centralità geografica e (almeno all’epoca della pubblicazione) anche economica è di per sé evidente.
L’autore constata nelle pagine iniziali il timore diffuso tra i vicini di casa della Germania per un’Europa a guida tedesca e lo reinterpreta come un invito alla Germania a superare i fantasmi del passato, ma anche le proprie paure e i propri complessi, e ad accettare di impegnare se stessa per il bene dell’Europa.
Nel frattempo, con lo scoppio della guerra civile in Ucraina, a partire dal 2014, e ancor di più con l’invasione russa del 2022, è risultato chiaro a tutti che la Germania, come del resto l’Italia, non ha la possibilità (e a oggi nemmeno la volontà) di una politica estera autonoma e che, dunque, il punto critico è quello dei rapporti con gli USA, che sono il vero e per ora unico regista della politica europea.
Gli studi di Münkler sulla storia, la nascita, lo sviluppo e il tramonto dei cosiddetti “imperi” sono riemersi, attualizzati, in una sua importante e lunga intervista apparsa sul quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung (NZZ) il giorno 8 gennaio scorso. A essere in crisi oggi, al di là dello stesso monolitismo informativo dei grandi media, completamente allineati alla narrativa atlantista, è proprio il sistema imperiale americano che sembrava essersi imposto con la fine del comunismo e dell’URSS.
La tesi di fondo dell’intervista alla NZZ, evidenziata dal titolo, è che “gli USA sono sovraccaricati e sta nascendo un nuovo ordine mondiale a cinque”, anche perché “l’ordinamento liberale del mondo è collassato”. Secondo Münkler, la guerra in Ucraina, quella a Gaza, la crescita di numero dei regimi autoritari, sono segni evidenti che si sta attraversando una fase di transizione, da un ordinamento a guida americano-occidentale a un nuovo equilibrio mondiale dai contorni ancora molto incerti. Malgrado le dichiarazioni ufficiali, dopo il ritiro dall’Afghanistan gli USA non sono più in grado di esercitare la parte dei guardiani del mondo, da loro assunta con il crollo dell’URSS. Non lo sono perché il numero delle guerre, dei conflitti, delle situazioni di crisi e di sfide internazionali è al di sopra della loro portata. A ciò si aggiunge il peso di un’opinione pubblica interna che chiede sempre più conto dei costi sociali insostenibili di quel modello imperiale di politica estera.
Sulla scena globale si profilano altri attori che, invece, vogliono e possono trarre profitto da questa nuova situazione: “Putin non è il solo ad avere in mente una revisione del vecchio ordine mondiale; c’è anche Erdogan, e altri ancora”. Ma il cuore dell’intervista è quando Münkler, da storico, ricorda che queste fasi di transizione sono sempre state caratterizzate da guerre molto aspre e di lunga durata. All’intervistatore, che gli chiede se allora ci sia da aspettarsi una condizione di guerra permanente nelle nostre vicinanze, Münkler risponde che, paradossalmente, alla lunga c’è la possibilità che “le guerre vengano meno, se non addirittura che scompaiano, almeno nei centri reali dell’ordine mondiale”, a certe condizioni, però, e richiama una sorta di legge storica delle cinque potenze, quasi come una regola del gioco degli equilibri storici internazionali. Quando le potenze in concorrenza tra loro sono tre, nella storia è quasi sempre finita che due di esse si siano coalizzate contro la terza. Quando sono più di cinque, la situazione diviene incontrollabile, perché le possibilità di coalizione si moltiplicano. La storia offre invece esempi di costellazioni di cinque potenze, che si sono giocate le sorti del mondo e hanno potuto avviare un certo periodo di equilibrio, relativamente duraturo. Per esempio, dopo la pace di Vestfalia, nel 1648, o nel congresso di Vienna del 1815 (Gran Bretagna, Prussia, Russia, Austria e Francia). Oggi siamo in una situazione che presenta tratti similari: gli USA e l’UE sul fronte “democratico”, la Russia e la Cina su quello autoritario, a cui si deve aggiungere l’India, come potenza emergente (e si veda per questo anche solo la sua avventura spaziale coronata proprio nel 2023).
Non sarà quindi la Cina da sola a mettere in questione l’egemonia americana degli ultimi decenni, anche perché essa non ne ha né l’interesse né la capacità. Il vero pericolo per la pace verrebbe, potenzialmente, dagli USA, che, vedendo tracollare il loro potere globale, potrebbero soggiacere alla tentazione di una guerra preventiva per invertire la rotta della storia. “E questo non può essere escluso”. In tal caso, sciagurato, il conflitto finirebbe per essere nucleare e, dunque, senza vincitori, ma solo vinti.
Sempre gli USA, per la stessa ragione, potrebbero optare per una soluzione non militare e decidere di spezzare il sistema della globalizzazione, sganciando completamente la loro economia dalla Cina e imponendo la stessa scelta agli europei, il che provocherebbe una crisi economico-finanziaria senza precedenti.
A questo punto, Münkler torna al concetto a lui caro della “potenza al centro”, richiamando il compito che la Germania dovrebbe assumersi, non limitandosi più a essere solo la locomotiva dell’economia europea, oggi peraltro in recessione, ma avendo il coraggio di far proprio anche un ruolo politico di responsabilità. Il fatto che il governo Scholz, a fronte della crisi ucraina, abbia proposto con forza l’urgenza di avere un esercito finalmente efficiente e funzionale, può far emergere in qualcuno gli spettri del passato, ma dovrebbe invece sa e si autogarantisca a tutti i livelli. Ovviamente si tratta di una strategia che richiede una precisione e una prudenza millimetriche (che sono quelle che Scholz sta cercano di portare avanti). Ciò sarebbe possibile rafforzando il cosiddetto triangolo di Weimar, ovvero gli accordi Francia-Germania-Polonia, e l’asse del nord, tra Paesi scandinavi e Germania, dunque un sistema di coalizioni in grado di assumere la politica estera e di sicurezza per l’Europa, inclusa la costruzione di un esercito europeo.
Münkler conclude osservando che il tempo sta per scadere e che se questa trasformazione non avrà luogo “l’Europa sarà tagliata fuori dalla prima fila del nuovo ordine mondiale”, cosa che è tutt’altro che da escludere.
E chi legge dall’Italia, e non dalla neutrale Svizzera, potrebbe anche chiedersi che ruolo resta, o resterebbe, a un’Italia “nave senza nocchiere in gran tempesta” in un’Europa a guida esclusivamente settentrionale.
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