“Sanatoria per gli insegnanti di religione” è il titolo che in modo polemico ha utilizzato il quotidiano Repubblica in merito al concorso che sarà bandito a breve per gli insegnanti di religione nel nostro Paese.
Da insegnante interessato al provvedimento penso non ci sia termine più centrato di questo per definire la situazione che coinvolge questo concorso.
“Sanatoria” è un termine di origine medica che indica un’azione volta a guarire una malattia, e la precarietà strutturale degli insegnati di religione è proprio una di quelle situazioni malate del mondo della scuola italiana.
È malato un sistema in cui non si capisce come poter diventare insegnanti e che negli ultimi decenni ha più volte usato procedure straordinarie per immettere in ruolo docenti di ogni materia; è malato un sistema che si è totalmente dimenticato degli insegnanti di religione escludendoli da un concorso che era previsto per legge e non è mai stato indetto (se non nel 2004 con il primo e unico concorso); è malato un sistema che concede la carta del docente e un risarcimento economico agli insegnanti di religione soltanto attraverso continui ricorsi che appesantiscono la giustizia e i conti pubblici per il mancato rispetto di norme italiane ed europee a tutela dei lavoratori.
In un contesto simile, in cui precarietà e ingiustizie sono diventate la normalità, gli stessi insegnanti di religione, che più di altri dovrebbero avere la coscienza di essere mandati dalle diocesi per un importante e grande scopo educativo all’interno della scuola, rischiano di ammalarsi di ansia da posto fisso.
Molti docenti precari sono spaventati dal calo demografico e dal crescente laicismo della nostra società (che inevitabilmente sta influendo sul numero dei ragazzi avvalentisi dell’insegnamento della religione a scuola) e pensano di essere garantiti nel lavoro attraverso un posto fisso regolarizzato dal concorso, tentando così anche di sopravvivere a una crisi inesorabile della disciplina.
Malato però è anche un quotidiano come Repubblica e il laicismo che vuole rappresentare, un’ideologia strabica che difende i lavoratori in base al proprio sentire del momento o in base al governo di turno. Non credo che Repubblica si sia mai preoccupato di criticare o accusare i governi passati di sinistra che negli ultimi anni hanno immesso in ruolo centinaia di migliaia di docenti con procedure straordinarie. Invece la religione cattolica non è tollerata, gli insegnanti di religione sono visti come docenti di serie B, illegittimi e fuori dalla realtà, un’anomalia nel mondo della scuola, da considerare come precari a vita destinati all’esaurimento, per una materia considerata vicina all’estinzione.
Effettivamente il malessere nei confronti della materia rischierà di aumentare se gli insegnanti di ruolo si sentiranno finalmente “arrivati” e non favoriranno quel dialogo necessario tra le domande di senso dei ragazzi (diventate ormai grido dalla solitudine dei social e della nostra società) e la proposta cristiana che ha la pretesa di essere risposta culturale, storica ed esistenziale alle domande dell’uomo.
L’esperienza di questi ultimi anni a scuola mi dice che i ragazzi sono alla ricerca di sicurezze, di adulti certi e pieni di speranza e bellezza nei confronti della vita, di una certezza che ultimamente possa “tenere” anche davanti a grandi drammi come il dolore, il male e la morte di cui le guerre sono l’espressione più tragica di questi ultimi tempi.
Questa certezza non può venire soltanto dal posto fisso (legittimo e necessario), ma anche attraverso la riscoperta dell’origine di quella vocazione educativa che dovrebbe aver spinto all’insegnamento della religione cattolica a scuola. Su questo può aiutare la lettura delle parole che don Luigi Giussani disse ripensando ai suoi primi giorni di insegnamento: “Salendo per la prima volta i tre gradini d’entrata al Liceo Berchet avevo chiaro che si trattava di rifare l’annuncio del cristianesimo come avvenimento presente, umanamente interessante e conveniente all’uomo che non voglia rinunciare al compimento delle sue attese e all’uso o senza riduzioni del dono della ragione”. Come ha testimoniato don Giussani con la sua capacità di intercettare migliaia di giovani nelle scuole e nelle università, soltanto un avvenimento cristiano presente e vissuto può rendere interessante e può rilanciare una materia considerata malata se non addirittura morente come l’insegnamento della religione cattolica.
Questo è anche il richiamo che tante volte in questi anni abbiamo sentito da parte di Papa Francesco: “La presenza di educatori cristiani nel mondo della scuola è di vitale importanza. E decisivo lo stile che egli o ella assume. L’educatore cristiano infatti è chiamato ad essere nello stesso tempo pienamente umano e pienamente cristiano. È importante che la sua personalità sia ricca, aperta, capace di stabilire relazioni sincere con gli studenti, di capire le loro esigenze più profonde, le loro domande, le loro paure, i loro sogni. E che sia anche capace di testimoniare – anzitutto con la vita e anche con le parole – che la fede cristiana abbraccia tutto l’umano, tutto, che porta luce e verità in ogni ambito dell’esistenza, senza escludere niente, senza tagliare le ali ai sogni dei giovani, senza impoverire le loro aspirazioni. Nella tradizione della Chiesa, infatti, l’educazione dei giovani ha sempre avuto come obiettivo la formazione completa della persona umana, non solo l’istruzione dei concetti, la formazione in tutte le dimensioni umane” (Discorso del Santo Padre Francesco all’ assemblea generale dell’Unione Mondiale Insegnanti Cattolici, 12 novembre 2022).
La parola chiave per rilanciare ogni insegnante e soprattutto i docenti di religione a scuola è “testimone”: ognuno dovrebbe chiedersi che cosa sta testimoniando ogni mattina in classe ai ragazzi che incontra, qual è la novità che porta e offre ai propri alunni, quella scintilla di entusiasmo capace di rivitalizzare una scuola profondamente malata.
Dopo la tranquillità dell’immissione in ruolo spero che gli insegnanti riscoprano sempre più la grande responsabilità che hanno nei confronti di bambini e giovani; c’è sempre più bisogno di qualcuno che nel mondo della scuola porti una ventata di speranza, gentilezza e umanità, riscoprendo la propria vocazione educativa cristiana.
Se per salvare la scuola morente può servire anche una “sanatoria” direi che è una strada che si può tentare, anche senza troppe polemiche.
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