Si arriverà certamente all’approvazione del ddl sull’autonomia differenziata, ora all’esame del Senato, ma non se ne farà nulla. Parola di Roberto Formigoni, quattro volte presidente di Regione Lombardia, una condanna a 5 anni per la vicenda Maugeri-San Raffaele ormai scontata e una gran voglia di tornare a far politica. “O scriveranno una legge che non potrà mai essere applicata” scandisce Formigoni con il Sussidiario, “perché equiparare i LEP (livelli essenziali delle prestazioni, nda) comporta un esborso per lo Stato non indifferente, oppure litigheranno sul fatto che i LEP non possono essere inseriti all’interno della legge”. Dunque una bocciatura pesante, se pensiamo che viene da chi l’autonomia l’ha chiesta per primo e ancora la difende. “Sì, ma quella scritta in Costituzione” spiega Formigoni.
Presidente, più l’autonomia differenziata procede, più si complica, meno capiamo come funziona. Lo sa solo una strettissima cerchia di addetti ai lavori. Come mai?
È successo perché i politici, sia a livello di governo nazionale sia di governo regionale, non hanno più letto la Costituzione, che invece è chiara sul punto. E si sono inventati un’autonomia a loro misura.
Lei è favorevole o no?
Sono stato io a volerla per primo. Ma la mia autonomia era quella che sta scritta in Costituzione: un passaggio concordato di competenze dal Governo alle Regioni senza trasferimento di fondi aggiuntivi. Nel momento in cui si sono voluti trasferire fondi aggiuntivi, è stato il caos. E la ragione è semplice: questi fondi non ci sono. Non c’erano allora, figuriamoci adesso.
Questo significa che…
Vuol dire che i famosi LEP e l’autonomia, sono, a mio modesto avviso, due cose completamente diverse, separate. E come tali vanno gestite.
Torniamo all’autonomia chiesta da Regione Lombardia sotto il suo governo.
Bisogna però capire come vi si è arrivati. Negli ultimi mesi di vita del governo Amato 2 (nel 2000, nda) il centrosinistra, vedendo che si stava riformando l’alleanza tra Berlusconi e Bossi, tentò disperatamente di convincere la Lega a non allearsi con Forza Italia, ben sapendo che se si fossero alleate il centrodestra sarebbe uscito vincente dalle urne.
E il centrosinistra fece la legge costituzionale 3/2001. L’autonomia appunto. Per togliere voti alla Lega e spuntare l’arma di Bossi.
Esatto. Felix culpa, dico io, perché l’autonomia differenziata come è scritta in Costituzione è una possibilità vera, in più, per tutte le regioni italiane. Infatti noi chiedemmo autonomia in un numero ampiamente inferiore di materie rispetto a quelle previste, e – torno a dire – a parità di risorse.
Può farci capire in modo semplice?
Prendiamo l’istruzione. Trasferimento in materia di istruzione vuol dire che la Regione chiede allo Stato l’autonomia nella gestione dell’istruzione e il trasferimento alla Regione delle sole risorse che lo Stato centrale utilizza per l’istruzione in quella Regione. Non altre. È una scommessa: fatta a ragion veduta, s’intende.
Che cosa significa?
Vuol dire che una Regione “scommette” sulla propria capacità di buon governo, cioè sul fatto di essere capace di amministrare quella competenza meglio dello Stato centrale. Io, Regione, con le tue stesse risorse, Stato, farò una scuola e una sanità migliore della tua.
Torniamo agli eventi di quegli anni.
Quella che ho appena detto è l’autonomia che chiedemmo al Governo di centrosinistra di allora, guidato da Prodi. Una richiesta fedele alla Carta costituzionale alla quale Prodi non aveva motivo di opporsi e che infatti approvò, perché era anche quella del centrosinistra. Neppure i miei colleghi del Sud erano contro: incontrai tutti – governatori, consigli regionali, categorie produttive – e tutti erano favorevoli perché avevano capito benissimo due cose: la prima, che se avessero voluto potevano fare come la Lombardia. La seconda, che se la Lombardia avesse avuto le competenze richieste, non avrebbe sottratto loro neppure un euro. A vincere o perdere la scommessa sarebbe stata la giunta e il consiglio che governavano la Regione, non altri al loro o al nostro posto.
A quel punto il negoziato tra Regione Lombardia e Governo si interruppe per la caduta di Prodi. Nel 2008 Berlusconi tornava a Chigi per la quarta volta.
Io ero convinto che con Berlusconi l’autonomia differenziata l’avremmo fatta in tempi rapidissimi. Ed era possibile, perché la maggioranza parlamentare era ampia, i voti c’erano e anche l’accordo con i governatori del Sud. Invece la Lega di Bossi, allora ministro alle Riforme, mi fermò.
Come avvenne, esattamente?
Ad Arcore ci fu una grande discussione.
Diciamo pure un litigio.
A un certo punto Bossi mi prende sottobraccio, mi porta in giardino e mi dice: Roberto, è inutile che ti scaldi, i tuoi colleghi della Lega non vogliono che il federalismo in Lombardia sia tu a farlo. Vogliono farlo loro. Chiaro? Siamo nel 2024, i cittadini lombardi potevano avere l’autonomia 17 anni fa.
E poi? Quel giorno, intendo, come andò a finire?
Continuammo la litigata, rientrammo dentro, e Berlusconi, all’inglese com’era solito fare in certe circostanze, si era assentato. Bossi cercò di consolarmi, dicendomi che Calderoli aveva in mente il federalismo fiscale, e che sarebbe stato quello a dare il potere alle Regioni. Ovviamente non se ne fece nulla. L’autonomia fu dimenticata, nel frattempo si cominciò a parlare di LEP, e quando l’autonomia è riemersa in anni recenti (con i referendum del 2017, nda) i due temi sono stati surrettiziamente sovrapposti.
Surrettiziamente, ha detto?
Sì. I LEP sono sacrosanti, perché sono i servizi minimi che devono essere garantiti ovunque nel Paese, ma non hanno niente a che fare con l’autonomia differenziata. Sono un altro capitolo. Adesso, invece, al Sud c’è la convinzione che una richiesta di autonomia permetta alla Regione richiedente di diventare più ricca. A spese di qualcun altro. Davvero hanno torto? Non lo sappiamo. Invece chi chiede l’autonomia non deve ricevere neppure un euro in più.
La famosa scommessa.
Proprio quella. L’avremmo vinta, perché sapevamo di avere una Regione capace di amministrare bene sanità, istruzione e beni culturali anche con poche risorse e meglio dello Stato centrale.
La sua previsione?
O scriveranno una legge che non potrà mai essere applicata, perché equiparare i LEP comporta un esborso per lo Stato non indifferente, oppure litigheranno sul fatto che i LEP non possono essere inseriti all’interno della legge.
Non crede che l’autonomia che vuole lei valga solo per le Regioni virtuose?
È così. Una Regione supera la prova dell’autonomia se ha una buona amministrazione e sa amministrare le materie con i soldi che le trasferisce lo Stato. Proprio per questo io sono favorevole all’autonomia, perché spinge, anzi costringe le Regioni ad essere virtuose. I cittadini hanno bisogno di uno Stato virtuoso e di Regioni virtuose che amministrino le loro risorse al meglio.
L’autonomia differenziata non dovrebbe essere uno strumento finalizzato a ridurre il divario tra Nord e Sud del Paese?
No, il divario si riduce con il buon governo delle Regioni, non con l’autonomia. I buoni amministratori riducono il divario, quelli cattivi lo aumentano. Ciò detto, è vero che qualcosa non funziona se lo Stato passa alla Val d’Aosta supponiamo 100 euro a cittadino e 60 alla Calabria, perché tutti i cittadini devono essere trattati in condizione di parità. E se questo non avviene bisogna intervenire, ma l’autonomia non c’entra nulla.
Regioni speciali e Province autonome ricevono di più dallo Stato grazie a statuti divenuti ormai forme di privilegio. Va bene così?
Ci sono anacronismi che andrebbero superati, ma è un altro problema ancora. L’autonomia vera premia la competenza, chi la chiede si mette alla prova, chi non la vuole va avanti come prima, se ci riesce. Tutto qui.
(Federico Ferraù)
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