C’è una vertenza, sconosciuta ai più, che desta preoccupazione per i lavoratori coinvolti. È quella della Cesare Fiorucci Spa, società attiva nel settore della salumeria, con sede a Pomezia, nel Lazio. In una comunicazione ai sindacati, del 27 novembre scorso, l’azienda aveva annunciato un piano di ristrutturazione molto pesante con 211 licenziamenti (poi ridotti del 20%) su circa oltre 400 lavoratori attualmente impiegati.
“Le iniziative che prendiamo oggi hanno un unico obiettivo”, aveva dichiarato l’amministratore delegato Claudio Rustioni. “Ovvero fare in modo che la storia del nostro gruppo prosegua, che gli stabilimenti restino in Italia e continuino a generare benessere nel loro territorio di riferimento. Le azioni che abbiamo previsto sono indispensabili e non più rinviabili se vogliamo salvaguardare il futuro dell’azienda, la tutela dei lavoratori e la qualità dei prodotti”.
In effetti la situazione della Cesare Fiorucci Spa era da anni preoccupante con pesanti perdite. Il susseguirsi di varie proprietà, fra cui la spagnola Campofrio, non ha portato alcun beneficio alla società. Ecco allora la scelta dolorosa, subito contestata dai sindacati che si stanno mobilitando. Il problema è grosso. La Cesare Fiorucci non è solo un’azienda, ma un polo produttivo fondamentale in un territorio molto povero. Nella sua attività sono infatti coinvolte anche numerose aziende del territorio. A suo tempo, proprio per questo, Giulio Andreotti, per aiutare l’azienda, aveva fatto “deviare” il territorio della Cassa del Mezzogiorno per poter includere proprio Pomezia.
Andrea Dusio su alimentando.info spiega bene la situazione oggi: “Fiorucci è stata a lungo un’azienda a conduzione famigliare. Reclutava il personale sul territorio. Molti sono entrati da ragazzi in fabbrica. Venivano da studi di ogni tipo, e il capo reparto metteva loro il coltello in mano, sin dal primo giorno. Imparavano sul campo, e spesso le lavorazioni erano molto faticose. Parliamo di dipendenti che sono in azienda da oltre trentacinque anni. Qualcuno anche da trentotto. Prima di ogni tipo di meccanizzazione, magari si ritrovavano a disossare centinaia di prosciutti al giorno. Oggi parte di questo personale porta i segni di questo lavoro (ci hanno raccontato del dolore alle spalle, della sindrome del tunnel carpale, di quelle che sono vere e proprie malattie professionali)”.
Molti di questi lavoratori sono molto vicini alla conclusione del loro percorso professionale. Non ci sono per loro possibilità di ricollocarsi, per evidenti ragioni anagrafiche. Manca a loro una parte contributiva per poter andare in pensione. Fiorucci, a detta di tutti, è sempre stata ineccepibile tanto nel pagamento degli stipendi quanto nei contributi. Era un’azienda in cui tutti avevano la possibilità di parlare con la proprietà. Intere famiglie di Pomezia ci lavorano, perché a lungo è stato possibile segnalare un famigliare o un amico che voleva entrare in azienda. Ci sono coppie in cui magari lui lavorava in fabbrica e lei negli uffici. Padri e figli. Fratelli. Oggi i lavoratori attendono i loro rappresentanti nella speranza che l’azienda si decida ad aprire agli ammortizzatori sociali e a percorsi di accompagnamento alla pensione.
“Ma non si fanno troppe illusioni”, continua Dusio. “Hanno registrato la rigidità della nuova proprietà nella fase di confronto con i sindacati. Sperano ora nell’intervento delle istituzioni. E in molti parlano apertamente della realtà di una produzione che ha mantenuto un ottimo livello in cotto, mortadella e salame, ma che a livello commerciale ha sempre faticato a conquistare il mercato del Nord, concentrandosi solo nel Centro-Sud. La grande incognita riguarda non solo il loro posto di lavoro, ma lo stesso futuro di un’azienda che non può consentirsi stop di produzione, e che però nel piano industriale che le parti sociali hanno giudicato lacunoso parla di esternalizzare alcune produzioni e di dismissione di linee di prodotto. I lavoratori hanno realmente a cuore il domani di Fiorucci. E la proprietà?”.
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