Il rating è un metodo utilizzato per valutare sia i titoli obbligazionari di debito, sia le imprese in base al rischio finanziario delle loro attività. Il rating dei Paesi è diventato una prassi usuale per attribuire un giudizio di merito ai debitori sovrani con metodologie razionali basate su una logica deterministica quando in economia, scienza sociale, le misurazioni sono sempre di tipo probabilistico Così troppo spesso l’assegnazione del rating è frutto di manipolazioni funzionali a interessi esterni e totalmente distorsivo della realtà giudicata.
Le principali agenzie di rating – Standard& Poor’s, Moody’s e Fitch – sono americane e partecipate da grandi multinazionali e da qui comincia la filiera degli interessi. Un primo tipo di conflitto riguarda i soggetti che pubblicano i rating e nel contempo svolgono attività di banca di investimento e in questo modo il rating potrebbe essere strumentalizzato nell’interesse della banca e dei suoi clienti. Si può forzare un Paese o un’azienda abbattendo il rating a svendere le sue attività com’è successo al nostro Paese: infatti, di fronte al declassamento di un titolo, la comunità finanziaria reagisce con un deprezzamento privilegiando le decisioni degli analisti rispetto alle ragioni dell’emittente che si trova sempre in una situazione di debolezza. Si parla di dittatura degli analisti per il potere di condizionare il mercato verso i loro interessi.
In questo senso le agenzie americane di rating sono sotto accusa perché i loro modelli di valutazione si basano su un’analisi razionale e meccanicistica di una realtà sociale che è l’economia e distorcono troppo spesso la verità sottomessa ai loro interessi. La modellistica e la cultura americana si basano sulla logica del mercato e dell’ottimo a breve, mentre il modello europeo è fondato sul sistema di welfare inesistente negli Usa. I modelli americani si basano sulla cultura finanziaria che ragiona sui flussi di cassa perché hanno volutamente dimenticato che gli equilibri finanziari dipendono sempre da quelli economici e non viceversa come si insegna al primo anno del corso di economia e ragioneria.
Gli esempi devastanti delle bolle finanziarie sono piene di istituzioni a cui è stata data la tripla AAA, cioè il massimo della sicurezza, come Lehman Brothers il giorno prima del collasso e così i tanti fondi costruiti sul nulla, ma solo sull’asseverazione di società di rating che sono sempre tirate come i burattini.
La finanza è così diventata un’arma non convenzionale per mettere in difficoltà imprese e Paesi con cambiamenti repentini di giudizio a parità di condizioni strutturali. A noi è capitato nel corso della campagna d’Europa del 2010-12 quando si è abbattuto su di noi, dopo gli altri Paesi più deboli – Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna -, l’attacco della finanza di rapina per fare saltare gli equilibri interni e di rapporto con gli altri Paesi; la Germania e la Francia non sono mai state attaccate, ma a loro volta attaccavano gli altri Paesi europei sotto scacco senza che la Bce dicesse nulla.
Proviamo a ripercorrere la storia che ha creato la situazione attuale del debito. La discesa agli inferi dell’Italia si può riassumere con queste date che segnano l’andamento di un rating opportunistico guidato: il 19 settembre 2011, con un Pil in lieve ascesa, un debito a 182 miliardi di euro il rating è A, poi lo spread viene fatto salire in un mese di 600 basis point sempre a parità di dati economici e finanziari, quindi fittiziamente il rating, sempre a parità di condizioni strutturali, finisce a BBB+ nel gennaio del 2012 per finire a BBB nel luglio del 2013. L’operazione innescata da Standard & Poor’s viene seguita dalle altre agenzie di rating e per noi risalire da un debito creato anche dalla finanza per indebolirci diventa un problema politico più che economico.
La stessa cosa Standard&Poor’s la fa agli Usa nel luglio del 2012 per indebolire Obama, ma viene condannata. Noi tentiamo la stessa cosa a Trani, ma la società di rating, guarda caso, viene assolta e i giornali prendono in giro il Pm che ha osato il giusto: questa è l’Italia sempre a vagone ed eterodiretta.
Ora è evidente che l’Europa, con la Germania in difficoltà, ha la necessità di istituire una sua agenzia di rating rispettosa delle sue peculiarità e del senso rafforzativo del welfare che da sempre la contraddistingue al contrario degli Usa rivolti e comandati solo dal mercato. Così potremmo aspirare a una maggiore autonomia e a quell’indipendenza di pensiero che da troppo tempo abbiamo perso.
Chi avrà il coraggio di proporla? Perché non l’Italia?
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