Sino a questo momento l’unica certezza è la laconica comunicazione, giunta a metà settimana dal Nazareno, che gli staff di Giorgia Meloni ed Elly Schlein hanno avviato i contatti per quello che potrebbe essere il duello televisivo dell’anno. Già l’idea lanciata dalla premier nella conferenza stampa di fine anno rappresenta un fatto politico. Resta però tutto da costruire il percorso per arrivarci. Ci sono le regole d’ingaggio da definire, e prima ancora su quali schermi si farà, scelta tutt’altro che neutra.
In vantaggio sembra essere l’intramontabile Bruno Vespa, a meno che non si riveli un’incauta fuga in avanti l’uscita dell’amministratore delegato Rai, Roberto Sergio. “Chi sennò?”, si è fatto scappare con l’edizione romana del Corriere della Sera. Le altre reti, però, non si sono date ancora per vinte. Tutte hanno avanzato offerte, La 7, con Enrico Mentana, Sky con Giuseppe De Bellis, Mediaset con “Speciale Tg5”, ma anche con Myrta Merlino, che ne ha fatto da subito una questione di genere, sognando un dibattito tutto al femminile, dalle contendenti ala conduttrice. Vespa, però, rappresenta il classico ”usato sicuro”, quella rassicurante via di mezzo che può alla fine costituire l’inevitabile mediazione.
I due entourage dovranno poi scegliere quale tipo di duello le prime due leader donna della politica italiana interpreteranno. Ci sono due estremi, e in mezzo un’infinità di soluzioni intermedie possibili: o il confronto aperto, in cui siano permessi i botta e risposta fra i contendenti, oppure la soluzione “all’americana”, domande cui entrambe rispondono, senza interrompere l’avversario. Acrobazia senza rete, oppure paletti rigidi, meno spettacolo, ma meno rischi di brutte figure.
Questioni di sostanza, e non di mera forma, il luogo e la formula, come pure la data. Perché traspare piuttosto chiaramente la volontà di restare lontani dalle pastoie della par condicio per le europee, che scatterà un mese prima del voto, fissato per il 9 giugno, ma bisogna tener conto anche delle regionali, fissate il 25 febbraio per la Sardegna e il 10 marzo per l’Abruzzo. Solo così si eviterà di incorrere nelle proteste di chi, come Giuseppe Conte, si ritiene escluso, e accusa Giorgia Meloni di essersi scelta l’avversario più facile, pretendendo di avere la stessa opportunità, un palcoscenico per il confronto con la premier. Una schermaglia a tre quella fra Conte, Schlein e Meloni che s’inserisce appieno nello scontro intorno alla leadership del futuribile “campo largo”.
Ma nel duello fra le due primedonne chi ha più da perdere? Pochi dubbi su questo: è la leader democratica a rischiare di più. Deve inseguire, parte da una posizione di svantaggio rispetto a una premier saldamente in sella, per di più attrezzatissima nello scontro dialettico. Potrebbe, di conseguenza, consolidare la propria leadership sul partito e l’opposizione, oppure vederla vacillare in modo forse definitivo. I mal di pancia che percorrono il corpaccione democratico potrebbero esplodere anche prima delle europee, a prescindere dalla decisione finale sulla candidatura o meno della segretaria. E a prescindere da un risultato decisivo per gli equilibri interni al Pd.
La Schlein, proprio per queste ragioni, di questo duello ha assolutamente bisogno, la Meloni molto meno. Per lei legittimare la segretaria democratica fa indubbiamente parte di una strategia tesa a tenere ben divisa l’opposizione. Far litigare Conte e Schlein costituisce una eccellente polizza per evitare la saldatura del frastagliato arcipelago delle opposizioni. Sul versante della maggioranza si sente sufficientemente forte da ritenere di avere la situazione in pugno. Nel sostegno a oltranza di Truzzu in Sardegna questo elemento è apparso chiaro. La Meloni agli scontri dialettici senza esclusione di colpi è abituata sin dai tempi della politica giovanile, può pure accontentarsi di un pareggio, anche perché raramente in Italia i dibattiti tv hanno inciso per davvero, salvo forse quando Berlusconi, nel match televisivo contro Prodi, promise l’abolizione dell’ICI, e andò vicinissimo a ribaltare l’esito delle elezioni del 2006. Certo, anche per la presidente del Consiglio vale la regola che è vietato strafare. Sottovalutare l’avversaria, mostrando un eccesso di sicurezza, non è salutare per nessuno.
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