Dall’Irlanda sono arrivati recentemente sugli schermi film non banali, con un senso religioso a volte tormentato, ma sempre profondo. Pensiamo al pluripremiato Gli spiriti dell’isola dell’anno scorso o a The Quiet Girl, ambedue sensibili, in modi diversi, ai temi dell’amicizia e della famiglia, con uno sguardo all’eterno richiamato anche dagli splendidi paesaggi irlandesi aperti verso l’infinito. In questi giorni è in sala The Miracle Club di Thaddeus O’Sullivan, una commedia intensa e commovente, che parte e poi ritorna in un povero sobborgo operaio di Dublino della fine degli anni ’60, dopo un viaggio a Lourdes alla ricerca del miracolo. Nel modesto quartiere dublinese la vita delle famiglie, spesso numerose e misere, è difficile anche se i rapporti parentali e di amicizia sono solidali e intimi: a volte però possono diventare anche molto crudeli.
Il film è interpretato da un cast d’eccezione, in cui spiccano le tre straordinarie protagoniste Maggie Smith (brillante novantenne), Kathy Bates e Laura Linney, senza le quali la vicenda avrebbe un altro sapore. Dopo un’apertura che punta lo sguardo sul ricordo da parte della vecchia madre Lily (Maggie Smith) della morte prematura in mare di suo figlio Declan, avvenuta molti anni prima, lo spettatore segue il ritorno nella casa natale di Chrissie Lime, partita per gli Stati Uniti quarant’anni prima e mai più rivista nel quartiere d’origine. È stata avvertita dal parroco, padre Dermot, della morte della madre Maureen, ma quando si presenta in città la comunità l’accoglie freddamente, se non con aperta ostilità. Sì, perché lei in qualche modo c’entra con la morte di Declan, il giovane scomparso di cui era perdutamente innamorata, ma soprattutto non le si perdona che abbia osato sparire da Dublino per andare a Boston.
In occasione del funerale della mamma di Chrissie, si svolge un concorso parrocchiale a cui partecipano Lily, amica stretta della defunta, ed Eileen, in passato profondamente legata a Chrissie. Il primo premio è un pellegrinaggio a Lourdes, a cui le tre protagoniste, pur tormentate da rancori e misteri mai rivelati, partecipano per motivi diversi. Dal lungo viaggio in torpedone verso il piccolo borgo francese di Bernadette, ciascuna di loro in realtà si aspetta qualcosa, che sembra però essere smentito da ciò che trovano quando arrivano alla meta. Madonnine, rosari e immersioni in piscine di acque miracolose, non sembra possano liberarle dalle loro angosce e dai loro rimorsi.
Addirittura Eileen, donna assai generosa nella sua grande famiglia, che ha lasciato marito, figli e nipoti pur di sperimentare la guarigione che si aspetta in quel luogo sacro, accusa il parroco di aver ingannato tutti, perché il miracolo non c’è stato. Padre Dermot risponde saggiamente: “Non si viene a Lourdes per i miracoli. Si viene qui per trovare la forza di andare avanti quando non c’è alcun miracolo.” Ed è proprio quello che accade alle tre donne e a una giovane mamma che si è unita a loro con il suo bambino di 7 anni, che non ha mai parlato. Ognuna di loro aveva la pretesa di sapere quale fosse il prodigio necessario alla sua vita, mentre quel Dio a cui qualcuna crede poco e qualche altra ha ridotto alla misure della sua capacità di comprensione sconvolge le loro aspettative. La salvezza giunge in modo misterioso attraverso la confessione della verità sul passato, segnata da colpe, incomprensioni, giudizi inappellabili e silenzi drammatici e distruttivi.
Ciascuna di loro ha qualcosa da farsi perdonare e sente il bisogno e il dovere di aprire il cuore alle compagne di viaggio. Riconosce i propri errori di fronte a chi ha partecipato a questo pellegrinaggio apparentemente privo di miracoli, che si trasforma così in un cammino verso la verità di sé. I drammi, in realtà veri traumi, sono profondi e hanno radici lontane nel tempo. Le spiegazioni attuali sembrano tardive e incapaci di cancellare il male commesso e il dolore subito. Le scene finali sono toccanti proprio perché mostrano come il peccato non si possa eliminare, ma è redento dal perdono, innanzitutto quello di Dio e poi anche quello di coloro che ci compatiscono perché si lasciano a loro volta assolvere da Chi solo può farlo. Qualche lacrima dello spettatore scorre per la commozione suscitata dalla trasformazione inaspettata di queste tre donne, all’inizio della storia a tratti divertenti nei loro giudizi superficiali sulle vicende della piccola comunità e ora improvvisamente più serie e aperte a uno sguardo del tutto nuovo persino sui loro mariti.
È questo il vero miracolo del loro viaggio a Lourdes: riconoscere il valore dell’altro, anche quando ti ha fatto un torto, e addirittura aver sentito la mancanza dei loro compagni di vita un po’ brontoloni, che prima di partire sembravano solo un peso. Ma un piccolo prodigio del tutto nascosto avviene davvero per il bambino silenzioso che nessuno ascolta mentre farfuglia le parole “a casa”.
Un inno alla possibilità del cambiamento, quello di The Miracle Club, mostrato grazie ai volti di un’Irlanda del passato semplice e modesta, che ha da insegnare molto anche a noi oggi. Abbiamo bisogno della speranza che il mondo e innanzitutto noi stessi possiamo trasformarci, senza pretendere che siano gli altri a fare il primo passo. E neppure aspettando che accada qualcosa di clamoroso: è nel quotidiano che avvengono i miracoli.
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