Tra sventolio di volantini con il tricolore e senatori dell’opposizione che intonavano l’inno di Mameli, come se i simboli patriottici fossero un’esclusiva di Pd e M5s, Palazzo Madama ha votato il primo sì al disegno di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. A favore 110 voti, 64 i contrari, tre gli astenuti. La contestazione delle minoranze è abbastanza curiosa, visto che la legge messa al punto dal ministro leghista per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, dà attuazione alla riforma del titolo V della Costituzione varata nel 2001 proprio dal centrosinistra: erano gli ultimi mesi del secondo governo guidato da Giuliano Amato e il Pds/Ds in quel modo credette di poter spaccare il centrodestra portando la Lega dalla propria parte. La modifica costituzionale delle autonomie locali passò per pochi voti, sostenuta da chi oggi, al contrario, proclama la necessità di riforme condivise, e fu poi confermata dal referendum popolare. La Lega restò alleata di Forza Italia e Alleanza Nazionale e i tre partiti fecero cappotto alle elezioni.
Ora il provvedimento approvato al Senato passerà alla Camera, dove la Lega, ma anche FdI e FI faranno di tutto per farlo approvare entro maggio e trasformarlo in argomento da campagna elettorale per le europee. Ma a quel punto il Ddl non produrrà ancora un trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni: la legge Calderoli definisce il percorso e le regole che dovranno seguire gli enti locali nella trattativa per farsi attribuire più poteri. A sua volta, tale negoziato è subordinato alla preventiva definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), ovvero i servizi minimi che dovranno essere garantiti ai cittadini sull’intero territorio nazionale, oltre che il loro finanziamento. Caratteristiche e importi dei Lep dovranno essere determinati entro 24 mesi dall’entrata in vigore del Ddl Calderoli. Da quel momento, Stato e Regioni avranno cinque mesi per chiudere gli accordi.
Dunque, quale sarà il volto concreto di questa autonomia differenziata è ancora un’incognita: troppi gli elementi di incertezza sui contenuti. E resta da capire quale sarà l’orientamento dell’elettorato di centrodestra nel Meridione. Quello del centrosinistra è chiaro: lo dicono le proteste di ieri al Senato e lo confermano le parole di fuoco di un governatore come il campano Vincenzo De Luca (“Stanno uccidendo il Sud”). Ma il Mezzogiorno è un serbatoio di voti anche del centrodestra. Ieri il senatore azzurro Mario Occhiuto, ex sindaco di Cosenza e fratello di Roberto Occhiuto, attuale governatore calabrese, ha votato a favore rilevando alcuni limiti della riforma. Più scettici sarebbero numerosi amministratori locali di Fratelli d’Italia, partito tradizionalmente centralista. Ma la Lega conta di blindare la legge Calderoli in cambio del premierato voluto a tutti i costi da Giorgia Meloni. Il tempo dirà chi ha fatto meglio i suoi conti.
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