L’avvocato di Filippo Turetta dovrebbe rinunciare alla difesa del ragazzo, perché insegna all’Università di Padova, dove studiava Giulia Cecchettin. Una richiesta a dir poco assurda, contraria ad ogni fondamento dello Stato di diritto, che arriva tramite una petizione sul sito Change.org. L’avvocato Giovanni Caruso, ordinario di Diritto penale, deve rinunciare alla difesa di Turetta, in alternativa l’università deve esprimersi pubblicamente dissociandosi dalla scelta inopportuna del professore: la petizione, lanciata da una dipendente del ministero della Cultura, ha già raccolto 163mila firme finora.
La tesi è che il legale faccia il doppio gioco, quindi nel testo si scrive che «non si può stare al tempo stesso con le vittime e con i carnefici». Il riferimento è alla decisione dell’Università di Padova di conferire la laurea postuma a Giulia Cecchettin, schierandosi quindi contro la violenza sulle donne, mentre non proferisce parola su Giovanni Caruso, «un suo importante membro che difende l’assassino e reo confesso». Come fa notare la rettrice dell’ateneo euganeo, Daniela Mapelli, si «è arrivati ad un corto circuito, per un Paese democratico», perché «tutti hanno diritto alla difesa, compreso il signor Turetta».
“DIRITTO ALLA DIFESA È CARDINE DI OGNI STATO DI DIRITTO”
La rettrice Daniela Mapelli, interpellata dal Corriere della Sera, rileva che il professor Giovanni Caruso è un «bravissimo docente che esercita anche la libera professione» e rammenta che l’Università di Padova «mai potrebbe dirgli se può difendere qualcuno». In difesa dell’avvocato e docente si è schierato anche il Consiglio direttivo dei professori di Diritto penale, secondo cui «la difesa che Caruso sta esercitando legittimamente non può far dubitare della condivisione civica ed etica del contrasto alla violenza di genere, che noi, come docenti di diritto penale, sviluppiamo nella didattica». In campo scende anche Francesco Petrelli, presidente dell’Unione delle Camere Penali italiane, il quale evidenzia che «il diritto alla difesa non può e non deve retrocedere neppure davanti alla commissione del crimine più atroce».
Inoltre, rilancia una denuncia fatta da tempo, quella del «fenomeno sempre più grave delle minacce ricevute dai difensori, non solo nei processi mediaticamente più esposti, per il solo fatto di assistere un imputato accusato di reati sessuali o di genere, o comunque per fatti particolarmente odiosi». «Cardine ineliminabile» di ogni Stato di diritto, ricorda l’Unione delle Camere Penali, sono «la presunzione di innocenza e il diritto alla difesa».