Ha suscitato moltissima eco nella stampa e nell’opinione pubblica l’impianto di un primo chip wireless nel cervello umano da parte di Neuralink, una società fondata da Elon Musk nel 2016, la quale ha come obiettivo quello di creare un’interfaccia tra il cervello umano e l’Intelligenza artificiale (AI). La società sta sviluppando un sistema chiamato “The Link”, che consiste in un microchip che viene impiantato nel cranio di una persona, con dei fili sottili che si estendono nel suo cervello. Questo sistema permette di interpretare i segnali prodotti dal cervello e di trasmetterli a vari dispositivi elettronici, come computer, smartphone, robot o altri chip. Neuralink si basa sul principio dell’interfaccia cervello-computer (brain-computer interface, BCI), che consente di stabilire una comunicazione bidirezionale tra le due entità, facilitando il controllo, la modulazione e l’arricchimento delle funzioni cerebrali.
Nello specifico, il microchip di Neuralink, chiamato “Telepathy”, è una piccola piastra di silicio che contiene 1.024 elettrodi, ciascuno dei quali è collegato a un filo flessibile di 5 micron di diametro, più sottile di un capello umano. Questi fili si inseriscono nel cervello attraverso una piccola incisione nel cranio, effettuata da un robot chirurgico guidato da un software di AI. Gli elettrodi si posizionano in diverse aree del cervello, a seconda delle funzioni che si vogliono stimolare o registrare. Il dispositivo esterno di Neuralink è una sorta di auricolare che si collega al microchip tramite Bluetooth e che contiene una batteria ricaricabile, un processore e una memoria. Questo dispositivo permette di controllare le impostazioni del microchip, di scaricare i dati registrati dal cervello e di inviare comandi a vari dispositivi elettronici, semplicemente pensandoli. Il dispositivo esterno può anche essere collegato a un’applicazione per smartphone, che consente di monitorare lo stato del microchip e del cervello, e di accedere a diverse funzionalità.
L’esperimento effettuato da Neuralink non è isolato, in quanto già in precedenza ne erano stati effettuati altri. Questa piuttosto lunga serie si può far iniziare, difatti, quando l’ingegnere inglese Kevin Warwick aveva raggiunto la notorietà globale per essersi fatto incorporare un microchip di radio-frequency identification (RFID), al fine di poter abilitare nuove capacità mai precedentemente sperimentate (“Cyborg I”, 1998), e per essersi fatto impiantare, successivamente, un array di cento elettrodi nelle fibre nervose nel braccio sinistro (“Cyborg II”, 2002), in una sorta di primordiale tecnologia incorporata. Tra le motivazioni che egli adduceva, in un libro pubblicato nel 2002, erano quelle di poter «cambiare me stesso, di migliorare la mia forma umana con l’aiuto della tecnologia. Di collegare il mio corpo direttamente al silicio. Diventare un cyborg – in parte umano, in parte macchina. Questa è la straordinaria storia della mia avventura come primo umano che entra in un mondo cibernetico; un mondo che, molto probabilmente, diventerà il prossimo passo evolutivo dell’umanità».
Egli sosteneva, inoltre, che il progetto Cyborg poteva essere utilizzato anche nel trattamento dei pazienti con danni al sistema nervoso nonché promuovere una forma di telepatia facilitata dalla tecnologia (techlepathy).
A livello di quadro concettuale di riferimento questi tentativi si inseriscono all’interno di quello che è stato definito transumanesimo, un termine che indica la visione di un futuro in cui gli esseri umani riescono a superare i loro limiti biologici grazie all’utilizzo della tecnologia. Questi due concetti sono strettamente collegati, in quanto Neuralink rappresenta una delle possibili applicazioni del transumanesimo, che potrebbe portare a una trasformazione radicale della società e della condizione umana.
Il transumanesimo è un termine che esiste da molti anni, almeno da quando Julian Huxley lo descrisse in un saggio del 1957 asserendo che la specie umana può, se lo desidera, trascendere sé stessa non solo sporadicamente, un individuo qui in un modo, un individuo là in un altro modo, ma nella sua totalità, come umanità.
In ultimo, dal punto di vista etico, Neuralink suscita molte domande morali e sociali, le quali riguardano l’identità, la dignità, la libertà, la responsabilità, la giustizia e la solidarietà degli esseri umani. A questo riguardo, le corporazioni tecnologiche dovrebbero rispettare i diritti, i valori, i principi e le norme che regolano la convivenza umana la quale deve essere accessibile, equa, trasparente e consensuale. Una mancanza di riflessione etica profonda sugli effetti della tecnologia può essere vista, oggigiorno, come una grave carenza da parte dei decisori pubblici che porta inevitabilmente, solo per fare qualche esempio, al pregiudizio algoritmico e alle vertenze crescenti relative al diritto d’autore e alla privacy digitale.
In conclusione, ciò che si intravede all’orizzonte è l’incerta rappresentazione delle relazioni tra uomo e macchina le quali possono ricadere all’interno di alcune categorizzazioni le quali mimano in vario grado la realtà, in una progressiva sfocatura dei confini tra ciò che è umano e ciò che non lo è con tutte le gradazioni possibili tra questi due estremi (cyborg, android, ecc.). A ciò si aggiunga la progressiva capacità dei dispositivi digitali attuali, a partire dall’Intelligenza artificiale di tipo generativo, di mimare in maniera alquanto realistica e coinvolgente le emozioni e le relazioni umane in direzione di una simpatetica “human-ness o humanity” di prossima ventura, indeterminata definizione, proprio come nella science fiction novel “Do Androids Dream of Electric Sheep?”.
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