“Difficile guardare gli occhi pieni di tristezza di questi innocenti; in quegli occhi si vede un’umanità devastata dagli orrori della guerra. Una grande emozione che si è unita alla grande speranza di arrivare a far cessare il fuoco per salvare vite umane e per bloccare la spirale di odio e violenza”. Padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, tra i promotori del viaggio che per ora ha portato 11 bambini palestinesi a curarsi in Italia, fra Roma, Firenze e Genova, descrive così i volti dei minori che ha contribuito ad aiutare: esprimono lo sconforto di chi non riesce a togliersi dalla testa le immagini di morte e violenza che hanno segnato gli ultimi quattro mesi di vita nella Striscia di Gaza, ma richiamano anche la speranza che questa guerra finisca una volta per tutte. Un aereo partito dalla zona di Rafah, al confine con l’Egitto, li ha portati qui, come prime staffette di una corsa alla solidarietà che proseguirà con l’arrivo di altre 60 persone nei prossimi giorni.
Come è nata l’idea di aiutare i bambini di Gaza portandoli in Italia a curarsi?
Il 22 novembre 2023 ho incontrato Papa Francesco in udienza privata, dopo che aveva parlato con i familiari degli ostaggi e con la gente di Gaza. Il Santo Padre era addolorato per le guerre e il suo primo pensiero era rivolto ai bambini e alle loro sofferenze fisiche e morali. Gli consegnai una lettera del presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, che accolse con il sorriso di chi riceve notizie di un amico. Sono uscito da quell’incontro incoraggiato dal Papa, dalla sua attenzione e dal suo sguardo paterno.
Sulla scorta di questo incoraggiamento, a chi si è rivolto?
Chiesi ai miei amici medici del Bambino Gesù di Roma di poter andare a salutare loro e i piccoli pazienti in ospedale. Avevo bisogno di incontrarli per capire come poter aiutare i bambini ammalati e feriti della Terra Santa. Avevo con me alcuni oggetti natalizi realizzati a Betlemme e, mentre li porgevo ai piccoli pazienti e alle loro mamme, incontrai gli stessi occhi dei bambini e delle mamme della Terra Santa. Non conoscevo personalmente il presidente del Bambino Gesù, ma gli scrissi nei giorni seguenti perché mi avevano parlato della sua disponibilità. La sua mail di risposta mi allargò il cuore: c’era la possibilità di poter aiutare i bambini, ma bisognava mettere in campo tante altre azioni per poter farli arrivare in Italia. Ho conosciuto in seguito il presidente Tiziano Onesti e i suoi collaboratori, e quell’incontro mi ha confermato che poteva iniziare un percorso di pace con l’aiuto e il sostegno dell’Italia.
Finora quante persone sono arrivate?
Sono arrivati 11 bambini con 13 accompagnatori. Domenica sbarcherà una nave con più di 60 persone con bambini, adulti, feriti. Poi vedremo se riusciremo a portarne altri; ci sono tantissime persone che hanno bisogno di cure. Siamo venuti a conoscenza di questi casi perché la gente continuava a chiamare per chiedere aiuto, per uscire da Gaza; ancora adesso ricevo tante telefonate dalla Striscia, dove ci sono molti malati che non hanno le medicine necessarie per curarsi. Tutti vorrebbero avere questa opportunità; quando sanno che riguarda l’Italia, sono contentissimi.
Chi ha contribuito a organizzare il viaggio?
Abbiamo lavorato soprattutto con il governo italiano, che si è impegnato tanto per questo, con gli israeliani, gli egiziani, con l’Autorità Palestinese. Anche il consolato italiano di Gerusalemme si è dato molto da fare. Per me è stata un’emozione forte accogliere i bambini all’aeroporto di Ciampino insieme al ministro degli Esteri Tajani, al generale Figliuolo, all’ambasciatrice palestinese in Italia Abeer Odeh e a tanti altri.
Da dove sono partiti questi bambini?
Erano ad Al Arish, vicino a Rafah, in ospedale. Altri erano nella nave italiana Vulcano. Poi sono venuti in Italia con l’aereo dell’aeronautica. Sono arrivati a Rafah con le loro forze, con tutti i pericoli che comporta questa situazione. Fra qualche giorno arriverà in Italia la nave Vulcano con a bordo altri bambini che necessitano di cure. Sulla stessa nave sono già stati curati tanti feriti e ammalati in Egitto. Sono state assistite mamme che hanno dato alla luce bambini, vite nuove che danno una speranza nuova.
Chi sono le persone che state cercando di aiutare, quali sono le loro storie?
Ognuno ha la sua storia: adesso ci sono quattro minori al Bambino Gesù di Roma, tre a Genova, tre a Firenze e uno al San Camillo, sempre nella capitale. Tutti con i loro accompagnatori. Alcune famiglie si sono dovute dividere: c’è un papà che è venuto qui con il figlio mentre la moglie è negli Emirati Arabi, sempre in ospedale, con un altro figlio e una figlia. C’è una bambina di 12 anni per la quale nessun adulto ha ottenuto il permesso di uscire da Gaza; con lei, allora, è arrivata la sorella di 14 anni. I tredici accompagnatori dei bambini ci hanno parlato delle loro sofferenze: una mamma con due bambini feriti ha perso il marito e una figlia nello stesso bombardamento, altri bambini sono ammalati e orfani, alcuni non sanno se i loro familiari sono sopravvissuti; tutti hanno ferite nel corpo e nello spirito. C’è un bambino di due anni che è stato accompagnato dalla zia.
Quali sono le cure di cui hanno bisogno i bambini che sono venuti qui?
I bambini e ragazzi appena arrivati hanno diverse patologie. Sono in corso per tutti esami e approfondimenti. Alcuni hanno traumi o malattie non gravi, che comunque non avrebbero potuto ricevere cure adeguate a Gaza per la mancanza di strutture sanitarie. Per altri bambini e ragazzi ci sarà bisogno di cure molto specifiche, di interventi chirurgici e di degenze più lunghe. Non possiamo prevedere quanto tempo rimarranno in Italia. A mio giudizio torneranno a casa quando le condizioni lo consentiranno. Il miracolo del loro arrivo è avvenuto, ora pensiamo al loro benessere fisico e morale.
Gaza sta vivendo una tragedia di grandi proporzioni, di fronte alla quale questa iniziativa è un piccolo segnale di speranza. È possibile immaginare un futuro di pace?
C’è un video di tre giovani ragazze israeliane (hanno solo 19 anni!), tenute in ostaggio a Gaza, che colpisce per la forza con cui chiedono al governo israeliano di fermare la guerra perché vogliono vivere, perché hanno diritto di vivere e non vogliono perdere la vita. È lo stesso desiderio, è lo stesso bisogno dei bambini e dei ragazzi di Gaza. Sono questi i sentimenti che hanno i ragazzi, israeliani e palestinesi, in questa parte di mondo. Lo posso confermare perché ho incontrato molti giovani come quelle del video. Nelle molte occasioni di incontro per i progetti di Educare alla pace, tutti i ragazzi sono sempre pronti ad affermare che si può vivere in pace, perché prevale in loro questo bisogno e questa volontà. Lo vogliono tutti i ragazzi della Terra Santa. È iniziato un importante percorso di pace, è la sola strada da percorrere, sulla quale abbiamo iniziato a incamminarci aiutando i bambini feriti.
(Paolo Rossetti)
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