Giuseppe Costa, fratello della vedova di Vito Schifani (agente di scorta tra le vittime nella strage di Capaci con Giovanni Falcone) è stato condannato a 12 anni di carcere nel processo per associazione mafiosa che vedeva imputati anche il boss Gaetano Scotto e il fratello Francesco Paolo, condannati rispettivamente a 20 e 12 anni di reclusione.
Lo riporta Ansa, secondo cui la sentenza sarebbe arrivata poche ore fa, emessa dai giudici della quinta sezione del Tribunale di Palermo. Giuseppe Costa, detto “Pinuzzu u chieccu”, secondo l’accusa avrebbe fatto parte della famiglia mafiosa palermitana di Vergine Maria “svolgendo – secondo gli inquirenti – le funzioni di esattore delle richieste estorsive destinandole ai carcerati“. Il fratello della vedova Schifani fu arrestato nel 2020 in un’operazione che vide finire in manette 7 affiliati della cosca dell’Arenella e Rosaria Costa, appresa la notizia, dichiarò di non avere più rapporti con il fratello. A lui rivolse comunque un appello: “Inginocchiati tu, Pino, mio Caino, fratello traditore“. Giuseppe Costa sarebbe stato inchiodato dalle intercettazioni della Dia.
Mafia, il discorso della vedova di Vito Schifani ai funerali dopo la strage di Capaci
Rosaria Costa è la vedova di Vito Schifani, uno degli agenti di scorta uccisi nella strage di Capaci in cui persero la vita anche il giudice Giovanni Falcone e sua moglie, Francesca Morvillo. Era il 23 maggio 1992 e 57 giorni più tardi, in una Palermo stordita dall’attentato al magistrato antimafia, si sarebbe consumata la strage in via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta. Il giorno dei funerali, la vedova Schifani salì sull’altare e, davanti alle telecamere, rivolse un appello agli stragisti di mafia: “Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio“.
Nel suo libro La mafia non deve fermarvi, Rosaria Costa ha dedicato una parte alla ricostruzione degli ultimi momenti di vita di suo marito, ucciso con i colleghi Antonio Montinaro e Rocco Dicillo mentre scortavano Falcone di ritorno a Palermo. “Della mattina del 23 maggio 1992 (giorno nella strage di Capaci, ndr) ricordo un Vito taciturno e pensieroso. Stette con Antonino tutto il tempo, stringendolo al petto“.