La settimana scorsa in Venezuela, con una decisione che ha provocato uno scandalo mondiale, la Corte Suprema ha confermato l’interdizione della leader dell’opposizione Maria Corina Machado a ricoprire incarichi pubblici e politici per i prossimi 15 anni. La donna, quindi, non può aspirare alla presidenza del Paese nelle elezioni previste quest’anno.
La ragione di una simile assurda decisione risiede, secondo la sentenza, nel fatto che “Machado è stata coinvolta in vari atti che hanno interferito con la pace e la sovranità del Paese”, confermando in pratica quanto già detto nel giugno scorso dalla stessa Corte.
In poche parole questo significa che la leader dell’opposizione al Governo chavista di Maduro, nonostante il 92% delle preferenze ottenute stravincendo le primarie di tre mesi fa, non potrà, almeno per ora, partecipare a delle elezioni che ancora non hanno una data di svolgimento ben precisa.
Il fatto ha avuto un’eco internazionale davvero notevole sia per la notorietà della candidata, leader del movimento “Vente Venezuela”, ma anche perché dimostra ancora più chiaramente che quella che viene presentata come una supposta democrazia, altro non è che un regime dittatoriale che, come la maggior parte del populismo latinoamericano, sfrutta le elezioni come elemento di libertà di pensiero che poi alla fine si rivela completamente inesistente.
E sì che dopo la crisi della Guayana Esequiba, già commentata su queste pagine, che ha portato il Venezuela al limite di un intervento militare per conquistare la ricchissima parte occidentale della nazione confinante, poi risolta parzialmente anche per l’intervento di forze militari internazionali e il rafforzamento di truppe di Paesi al confine con la nazione caraibica, Maduro aveva addirittura aperto un dialogo con l’arcinemico statunitense, ottenendo un accordo che, oltre allo scambio di prigionieri, includeva una collaborazione commerciale con gli Usa… a patto che in Venezuela si potessero organizzare libere elezioni.
L’accordo era estremamente importante per i due Paesi, sia perché gli Usa, entrando nella società petrolifera gestita dallo Stato venezuelano, avrebbero ripreso a far funzionare degli impianti praticamente distrutti dalle fallimentari gestioni chaviste, sia perché gli stessi Stati Uniti, vista la mal parata sul controllo delle risorse petrolifere mondiali, avrebbero potuto metter mano sui giacimenti di un leader mondiale nell’estrazione dell'”oro nero”, e anche interferire con Russia e Cina sul controllo delle immense ricchezze minerarie venezuelane.
Ma la decisione presa dalla Corte Suprema ha provocato un dietrofront sull’accordo ormai raggiunto e ha riattivato l’embargo commerciale Usa che era stato sospeso. Negli Stati Uniti si parla apertamente di un errore stratosferico di Biden e di tutto il mondo politico legato in gran parte di un Partito Democratico che, nella sua esaltazione della filosofia woke (che include anche un colpevolizzarsi del mondo occidentale nei confronti delle altre culture assolutamente fuori luogo), si è in pratica fatto abbindolare da Maduro.
Ora però la situazione sta diventando pure molto pericolosa a livello interno nel Venezuela stesso, perché il Paese vive da più di vent’anni una delle peggiori crisi economiche della sua storia, superata nel dato inflazionistico solo da un’Argentina che però, pare, stia correndo ai ripari dopo il netto cambio di conduzione politica con l’elezione di Javier Milei.
In un Paese dove il salari mensili hanno una media di 3-4 dollari al mese per professioni specializzate (medici, ingegneri, bancari ecc.) e vi sono altissimi livelli di povertà, nonostante le immense ricchezze, le prossime elezioni costituiscono l’occasione di sbarazzarsi una volta per tutte di un potere spaventosamente catastrofico dove oltretutto si riscontra la presenza, non tanto velata, del narcotraffico.
Corina Machado in poche parole è vista come la speranza di questo cambio radicale, un po’ come in Argentina Milei, dopo che per anni le opposizioni in Venezuela sono state distrutte dalle manovre anche militari della tristemente famosa Polizia bolivariana, ma anche per divisioni interne che, nel corso degli anni, hanno provocato la rottura della compattezza del fronte dissidente, spesso confidando in presunte aperture di Maduro, rivelatesi poi un bluff totale; per questo stupisce ancora di più l’ingenuità statunitense sulla questione.
Ora bisognerà vedere quali azioni verranno internazionalmente adottate per contrastare una dittatura che, anche sul fronte dei diritti umani, lascia molto a “desiderare”.
Viste le crisi in corso in molti Paesi che avevano abbracciato il populismo (Messico, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia), si potrebbe dire che il Foro di Sao Paulo, l’organizzazione che da anni raggruppa i movimenti “progressisti” dell’America Latina, stia affrontando una crisi che pare essere irreversibile: purtroppo questa è l’unica speranza per restituire la democrazia in Venezuela, visto che gli embarghi commerciali decretati dai Paesi occidentali negli anni passati sono stati ampiamente raggirati e purtroppo l’Italia ne è stata protagonista.
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