Il piccolo Samuele Lorenzi fu ucciso a 3 anni a Cogne, nella villetta in cui viveva con i genitori e il fratello maggiore, il 30 gennaio 2002. Un omicidio che sconvolse e divise l’Italia, alle prese con una caccia al mostro poi sfociata nella clamorosa verità processuale: la madre, Annamaria Franzoni, ritenuta responsabile dell’atroce delitto e condannata in via definitiva a 16 anni di carcere (nel 2008 ridotti a meno di 11, di cui 5 ai domiciliari, grazie a indulto e buona condotta).
Espiata la pena, Annamaria Franzoni è tornata in libertà e vive con il marito, Stefano Lorenzi, che non l’ha mai abbandonata. Ha avuto un altro figlio dopo la morte di Samuele e in alcune occasioni torna con la famiglia nella casa dove tutto accadde. Lo psichiatra Paolo Crepet, intervistato da Gianluigi Nuzzi per Specchio, ha ripercorso le tappe della vicenda analizzando i contorni di uno dei casi di cronaca che più scioccarono il Paese. L’esperto sostiene che tra il delitto di Cogne e storie più recedenti, ad esempio l’omicidio della giovane Giulia Cecchettin, ci siano alcune analogie: “Il clamore e il profilo dell’assassino“, una persona “della porta accanto“.
Annamaria Franzoni e il delitto di Cogne: la mamma che divise l’Italia
La vicenda del delitto di Cogne e il processo a carico di Annamaria Franzoni furono epicentro di una grande attenzione mediatica e di una profonda e spinosa spaccatura tra innocentisti e colpevolisti. Ancora oggi molti ricordano la mamma del piccolo Samuele Lorenzi in tv, davanti alle telecamere del Maurizio Costanzo Show e a Porta a Porta, gridare il suo dolore per l’omicidio del figlioletto allora ancora senza un colpevole. Erano i giorni della caccia al killer, tra angoscia e interrogativi sempre più pressanti sull’eventualità di un coinvolgimento di qualcuno della famiglia. Infine l’arresto e la condanna per la madre, una evoluzione che alimentò il grado di shock nell’opinione pubblica dopo un circo mediatico senza precedenti fino a imprimersi nella storia come un caso da studiare negli anni a venire.
“Nell’immaginario – ha sottolineato Crepet – la mamma italiana non sbaglia mai, è buona per natura, invece può essere un’assassina, circostanza che turba e attrae il pubblico. Proprio questo si rivelò un ostacolo culturale che faceva male a tutti noi, alle nostre ipocrisie. L’assassina poteva davvero essere una giovane bella bianca borghese con la casa assolata? Sì. Fosse stata una disgraziata, la gente avrebbe capito“.