Secondo quanto comunicato da Destatis, l’istituto statistico nazionale tedesco, la produzione industriale in Germania a dicembre ha fatto segnare una diminuzione congiunturale dell’1,6% e tendenziale del 3%. Con questo settimo calo consecutivo, il 2023 per la prima manifattura europea si è chiuso con un -1,5%. Come ci spiega l’economista Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, «il calo era largamente nelle attese. L’indice degli ordini manifatturieri negli ultimi mesi dello scorso anno segnalava una contrazione prospettica. Il medesimo indice, poi, nello stesso mese di dicembre, riportava una nuova contrazione degli ordini pari al 2,2% – escluse le grosse commesse aeronautiche. Nell’industria automobilistica, in particolare, la contrazione degli ordini era addirittura del 15%. Ne consegue che l’outlook per l’economia tedesca per l’anno in corso è pessimistico con ovvie ramificazioni per le economie dell’Eurozona, nonostante la straordinaria resilienza mostrata sinora dall’Italia».
Se l’industria europea non ride, le cose non sembrano andare meglio per l’agricoltura, viste le proteste di queste settimane in molti Paesi dell’Ue. Qual è il suo giudizio in merito e sulla risposta data dalla Commissione agli agricoltori?
Al di là delle questioni specifiche che hanno scatenato la protesta, credo che essa esprima un disagio più generale circa l’approccio seguito dalle autorità europee nelle politiche di transizione. L’imposizione unilaterale di regolamentazioni restrittive per il settore imposte praticamente senza consultazione con gli operatori, le conseguenze dirompenti che tali provvedimenti stanno avendo da tempo sul settore con lo spostamento della produzione a vantaggio di operatori extracomunitari mostrano un cortocircuito ormai sempre più evidente. Il paradosso è che la produzione agricola cui rinunciamo è sostituita da quella di produttori di altri Paesi che non applicano quegli standard restrittivi e che, in virtù di ciò, riescono a entrare nel nostro mercato praticamente senza concorrenza. È incredibile, ma purtroppo vero.
L’economia tedesca è in recessione, eppure Isabel Schnabel, membra tedesca del Comitato esecutivo della Bce, in un’intervista al Financial Times, ha detto che sebbene il taglio dei tassi possa rinvigorire l’economia stagnante, l’inflazione può divampare di nuovo. Cosa ne pensa?
Credo che voglia semplicemente guadagnare un altro po’ di tempo prima di avviare il ciclo di riduzione dei tassi prima dell’estate. Peraltro, sarebbe insolito per un membro tedesco del Board invocare apertamente il taglio dei tassi. Non lo hanno fatto nemmeno quando l’Eurozona fronteggiava chiare prospettive deflazionistiche…
Intanto dalle previsioni macroeconomiche< delle ultime settimane emerge un divario crescente tra Stati Uniti e Ue. Cosa fare per ridurlo?
Nel 2023 il divario di crescita è stato il più ampio dal 2013 al netto del periodo pandemico. Chiaramente sono economie con diversità strutturali, ma erano diverse anche prima. Il fatto è che, ora, l’Europa è colpita direttamente dalle implicazioni del mutato assetto geopolitico. L’aggressione russa dell’Ucraina ha esposto le nostre economie allo shock energetico. La crisi del Mar Rosso minaccia le rotte del commercio internazionale verso l’Europa compromettendo la stabilità di alcune catene di approvvigionamento. Insomma, le crisi geopolitiche stanno avendo un impatto asimmetrico sull’Europa più che sugli Stati Uniti.
C’è la possibilità di una cooperazione economica tra le due sponde dell’Atlantico o si va invece verso una sorta di “competizione”?
Temo che negli Stati Uniti non ci sia capitale politico verso una soluzione di maggiore cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico che rimane, a oggi, concentrata nell’area strategico-militare dov’è particolarmente cogente. È un’opportunità mancata perché una grande area transatlantica di cooperazione economica rafforzata creerebbe un mercato più ampio che mitigherebbe il calo di export europeo verso altre aree del mondo. La medesima area inevitabilmente cementerebbe e riaffermerebbe la solidità del blocco occidentale anche in funzione antagonistica rispetto ad altre regioni del mondo.
Sia il Fmi che l’Ocse stimano una discesa dell’inflazione, eppure invitano le Banche centrali a non abbassare troppo presto i tassi. Sarebbe davvero un rischio?
A oggi, l’evidenza è che il quadro inflattivo si va progressivamente stabilizzando in tutte le principali economie del mondo. Il tema, pertanto, è quando le banche centrali cominceranno a tagliare i tassi. Nell’Eurozona, occorre evitare che la crisi economica tedesca si estenda alle altre economie dell’Eurozona perché poi sarebbe troppo tardi.
(Lorenzo Torrisi)
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