La storia offre esempi e analogie, a volte impressionanti, ma spesso non percepite. È il caso dell’anniversario della “Guerra dei contadini”, scoppiata nel sud della Germania nel gennaio del 1524. Esattamente 500 anni dopo siamo di fronte a un’altra estesa rivolta contadina, grazie al Cielo questa volta senza fatti di sangue, ma nell’uno e nell’altro caso c’entra la religione, eccome. Il punto è quale religione.
All’inizio del secolo XVI l’80% della popolazione tedesca era fatta da contadini, asserviti al 3% di nobili (il resto della popolazione erano borghesi-cittadini). I contadini con tasse e corvées mantenevano la nobiltà e il clero, ma non avevano alcun diritto politico e, anzi, a fronte di ogni nuova crisi, si trovavano a dover sopportare nuove imposizioni.
Tra le misure più odiate c’era la tassa sul morto: quando un capofamiglia moriva, i parenti dovevano dare al signore locale le sue vesti migliori e i suoi migliori capi di bestiame. Moltissimi contadini erano ancora soggetti alla servitù della gleba. Nei tribunali non avevano alcun diritto né, men che meno, nelle comunità di cui erano parte. L’inizio e la diffusione della Riforma Protestante, a partire dal 1517, suscitò grandi speranze tra i contadini. Nel 1520 Martin Lutero pubblicò il suo trattato Sulla libertà del cristiano, in cui si affermava che “il cristiano è libero signore su tutte le cose e non è soggetto a nessuno”. I contadini presero queste parole alla lettera, così come presero alla lettera i passi della Sacra Scrittura dove si afferma che i primi cristiani “avevano tutto in comune”.
Quando le proteste passarono dalle parole ai fatti, Lutero dapprima riconobbe quanto giuste fossero molte rivendicazioni dei contadini, ma replicò che tutte quelle affermazioni, sue e della Bibbia, si riferivano all’Aldilà, non a questo mondo, e che, in ogni caso, la Scrittura comanda la sottomissione all’autorità. E senza quella dei prìncipi la Riforma avrebbe avuto molto meno slancio.
Di lì a poco, quando le proteste degenerarono in violenti assalti a castelli e strutture ecclesiastiche, Lutero dichiarò, a modo suo, la liceità della repressione violenta dei contadini, che “devono essere fatti a pezzi, strangolati, infilzati, in segreto o pubblicamente, come si deve ammazzare a bastonate un cane randagio”. La rivolta proseguì comunque, non senza qualche successo, ma in maniera poco organizzata, e fu repressa nel sangue. Il risultato fu che alcune aree prima luterane tornarono cattoliche o aderirono a gruppi dissidenti protestanti in polemica con Lutero, come gli anabattisti, o alle chiese di matrice zwingliana, per cui la Bibbia era un testo normativo anche per l’aldiqua.
Nella “guerra dei contadini” (così è passata alla storia) le motivazioni sociali e quelle religiose si sovrapponevano in un grido che chiedeva giustizia. Del resto, la giustizia non è mai solo una questione sociale (sbagliava Engels, che lesse quella guerra solamente come un primo esempio di lotta di classe: forse lo era, ma era senz’altro molto di più).
I contadini del 1524 stilarono un elenco di dodici articoli, ispirati alla Bibbia, tra cui non mancavano esplicite richieste alle chiese, che ben pochi però compresero nella loro più profonda valenza. D’altra parte, nel 1524 la laicità dello Stato non esisteva, anzi, non esisteva nemmeno lo Stato moderno: c’era una sistema di relazioni comunitarie, di terra e di sangue, in cui la giustizia non poteva essere solo cosa dell’altro mondo.
I contadini del 2024, tra Berlino, Parigi, Bruxelles, Melegnano e Sanremo sembrano avanzare solo delle richieste economiche, ma, a rifletterci bene, c’è molto di più, non nei loro “articoli” – per la verità per nulla omogenei –, ma nelle ragioni che stanno prima delle forme di protesta e che, in fondo, anche questa volta hanno a che fare con la “giustizia”. Allora, come oggi, i contadini sono ben poco organizzati rispetto ai rispettivi “prìncipi”, e, forse proprio per questo, anche oggi le loro richieste sollevano domande che vanno al di là dei soli interessi economici: a pensarci bene, a essere messe in questione, sia pure inconsapevolmente, non dovrebbero essere solo alcune regole imposte dall’Unione Europea, ma la filosofia che esse sottintendono.
Se rimanessimo sul piano delle regole, è difficile negare che un controllo pubblico dell’impiego in agricoltura di sostanze nocive alla salute, come i pesticidi, sia non solo auspicabile, ma necessario, e che possa fare la differenza. Togliere le agevolazioni sui carburanti agricoli (in attesa dei trattori elettrici?), più che incentivare la decarbonizzazione, potrà solo favorire le importazioni da aree geografiche non-UE dove la cura per l’ambiente, il clima e la salute sono pari a zero. E sin qui siamo a delle quasi ovvietà, ma, si sa, nei palazzi del potere ciò che è ovvio alle persone comuni, non è di casa. Al di là di un paio di norme necessarie e delle buone intenzioni (quando ci sono), il Green Deal, l’insieme di interventi normativi UE a tutela dell’ambiente, per il contenimento dei cambiamenti climatici e a sostegno della transizione verde, presenta aspetti oggettivamente contradditori, legati alle enormi differenze di interessi e prospettive che precedono l’azione politica in quanto tale.
La ragione di questa contradditorietà è che questi provvedimenti oscillano tra la ricerca pratica della tutela ambientale e una visione ideologica distorta, per cui l’ambiente è il pretesto per altro. Il sistema di misure climatico-ambientali adottato dalla Commissione europea con il nome di Green Deal (l’inglese rende tutto più digeribile) più che alle esigenze di una sana riforma del primo settore, sembra ubbidire a una neanche tanto implicita visione del mondo, dove l’essere umano è solo un accessorio. E te lo dicono anche: ci si deve muovere verso un mondo e una natura senza l’uomo, ritenuto il colpevole di tutto. Si chiama “biocentrismo” e ormai è una religione alternativa alla concezione biblica del Dio Creatore.
Così, più che di fronte ai testi in materia emessi dalla Commissione UE (alcuni, di per sé, più che giustificati), pare di essere di fronte a una sorta di burocratese sacralizzato, dove i cambiamenti climatici, pur se reali, sono usati per imporre una visione della vita che ha i caratteri di una religione secolare. Tale è, infatti, il politicamente corretto che oggi domina l’Occidente. E forse c’è un nesso molto stretto tra ideologia woke e biocentrismo eurocentrico: sì, eurocentrico, perché il resto del mondo non mostra nessuna intenzione di far propri i dogmi del Green Deal imposti dalla linea diretta che da Davos arriva sino a Bruxelles.
Nella Bibbia, a cui i contadini tedeschi dicevano di ispirarsi nel 1524, l’essere umano è il custode del creato e non ne può disporre arbitrariamente. Nella religione secolare oggi dominante l’essere umano è uno sgradevole accidente e di tutto vorrebbe disporre la nuova casta degli eletti, umani anche loro, ma chiamati a guidare la transizione verso il niente. Ben poco è chiaro di quel che sta succedendo. Molto è ancora da capire, ma di certo la nuova religione secolare può piacere a chi si piace, dai ricconi di Davos ai privilegiati dell’UE, ma non a chi vive della terra.
I contadini, oggi come ieri, si ribellano, ma non sembra abbiano chiara un’alternativa, e per averla servirebbe qualcosa di più dei soli, pur legittimi, interessi economici.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.