Perso per perso, tanto valeva tentare il tutto per tutto. Di tornare a bussare alla porta dell’uomo, poi, non è che quel “maledetto” lebbroso provasse granché voglia: “Smettila di ritornare nello stesso punto dove hai perduto la serenità” gli avrà, forse, suggerito la madre o il padre. Che, c’è da crederci, avranno sofferto più del figlio la crudeltà di quella malattia che scarnificava il corpo svuotando del tutto anche l’anima, il cuore, sentimenti. Lui, d’altro canto, s’era fatto convinto, in caso di ovvio, di rompere gli schemi: “Dicono che quell’uomo non si vergogni di alcuno – pensò tra sé pensando al Rabbì che stava facendosi notare in quelle zone -: se davvero è così, o la và o la spacca”.
La cosa più ovvia era quella di non avvicinarsi a quell’Uomo: non tanto per Lui quanto per non infastidire quella ciurma di amici che, senza accorgersi, amava proteggerlo al punto che quasi lo consideravano proprietà privata. Da non disturbare con richieste di bassa lega, pretese inutili, implorazioni che si sapeva già anticipatamente dove avrebbero portato. Invece, paff! Il lebbroso prende il coraggio a quattro mani e, invece che nascondersi dal mondo, si avvicina a più non posso alla Luce più potente che si è accesa nel mondo: “Venne da Gesù un lebbroso, lo supplicava in ginocchio e gli diceva: ‘Se vuoi puoi purificarmi’!“. Così cencioso, slabbrato, sbrindellato dal male infame: fregandosene delle occhiatacce tutt’attorno. D’altra parte, chissà che cosa avrebbe scoperto di meraviglioso Cristoforo Colombo se, quella volta, l’America non gli avesse sbarrato la strada. Bloccando la sua esplorazione.
È uno straccione quel lebbroso, ma l’educazione non gli manca: “Se vuoi” premette alla sua richiesta al Cristo. Come dirgli: “Se tu non vuoi, non fa nulla: ti capisco, è da una vita che il mondo mi evita. Sono abituato ad essere vomitato dagli occhi. Se non tu puoi – perché fai brutta figura – non t’impensierire. Grazie anche solo per non avermi sputato in faccia!”. Verrebbe da dire, se non avesse la pellaccia che ha, che sta rischiando davvero la pelle nell’avvicinarsi così tanto alla Luce. Non c’è disobbedienza più grande, per chi dalla legge è condannato all’oblio, che avvicinarsi ad una fonte di luce.
“Perso per perso, tanto vale provare il tutto per tutto” pensa lui. Ha ragione: “(Gesù) ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò“. Non gli dà una pacca sulla spalla, non gli regala nemmeno la carezza più affettuosa mai donata: lo tocca. E il tocco ha una memoria: quando ti toccano le mani giuste, senti tutta la bellezza del tuo corpo. È roba rara l’essere toccati senza venire offesi. Ai discepoli che lo stanno guardando forse di sbieco, senza usare parole Cristo sta chiedendo loro di prendere appunti: “Ogni giorno dovreste spingervi a toccare qualcuno d’intoccabile per poter dire d’essere stati toccati da me”. Per Cristo non ci sarà mai nessuna pace possibile se prima non si andrà a vivere nella pelle dell’altro. Non ci sarà nessuna pace per entrambi.
Lo sposalizio, insomma, si fa: “Lo voglio, sii purificato!“. Non s’accorge, la gente, del matrimonio in atto tra il lebbroso e Dio in persona: “Vuoi tu, Marco, prendere con te Lavinia tua sposa?” Con annessa risposta: “Sì, lo voglio”. Ecco le motivazioni del loro patto nuziale: «Non passione ci vuole, ma compassione, capacità di estrarre dall’altro la radice prima del suo dolore e di farla propria senza esitazione» (F. Dostoevskij). Figurarsi se l’uomo appena guarito riuscirà a mantenere fede all’unica richiesta fattagli dal suo medico guaritore: “Guarda di non dire niente a nessuno” (cfr Mc 1,40-45). La prima cosa che gli riesce di fare è di ritornare nelle zone che fino a qualche attimo prima erano, per lui, off-limits e intonare la litania più bella che il suo cuore conosca: “Dio c’è, l’ho incontrato, mi ha guarito. Se potrò essere di aiuto a qualcuno, sono in debito con il buon Dio: venite a me, affaticati e oppressi. E vi farò quello che lui ha fatto a me”. Udendolo, vedendolo quel retrogusto di banalità, che piace a chi non ha assaggiato altro, evapora.
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