Stabilire regole ha un senso ed è un fatto non solo positivo ma inevitabile. Fissare invece dei principi immutabili che non tengano conto dei cambiamenti sociali, degli shock che subisce l’economia, dei mutamenti geopolitici dovuti a guerre o a nuovi rapporti di forza in corso, rivela mancanza di realismo e soprattutto vuoto politico, incapacità di fare politica.
In questi giorni è in corso quella che viene sbrigativamente chiamata “rivolta dei trattori”, in cui gli agricoltori di molti Paesi europei, tra cui l’Italia, protestano duramente soprattutto contro la rigidità di quanto stabilito in sede europea sui dettami ambientali e per quanto incidono sulla gestione delle loro aziende. Ma a questo va aggiunto l’aumento dei costi dell’energia, dovuto inevitabilmente ai conflitti in corso per la conseguente incertezza che si crea sui mercati.
Un quadro che fa letteralmente a pugni con i dibattiti in corso in Italia, dove maggioranza e opposizione cercano di attribuirsi colpe a vicenda. I sondaggi (venerdì ne è stato lanciato uno) spiegano che il 57 per cento degli italiani attribuisce la colpa di questa protesta all’Europa.
Ora sembra quasi inutile, alla vigilia di elezioni che si riveleranno molto importanti, ritornare sulla necessità dei cambiamenti di alcune decisioni. Il problema è che in mezzo a un cambiamento epocale che interessa la società, l’economia, il lavoro e il quadro geopolitico mondiale l’Europa deve finalmente fare un salto.
Scriveva Giorgio Vittadini, due giorni fa sul Sussidiario, che in alcune occasioni anche recentemente l’Europa si è dimostrata pronta ad affrontare problemi delicati, e citava ad esempio il NextGenerationEU. Ma Vittadini aggiunge anche consapevolmente le delusioni che molti cittadini europei hanno di fronte alle decisioni comunitarie e la preoccupazione per i problemi futuri che si presenteranno in questa svolta epocale.
Quindi Vittadini pone l’accento sull’importanza di un rilancio dell’indispensabile istituzione europea attraverso la creazione di un vero Stato europeo e pone l’accento sulla necessità di una Costituzione. “Che cosa comporta avere una Costituzione? Significa avere un Governo che decide dopo un confronto tra diverse forze politiche in Parlamento”. Il nodo europeo, in qualsiasi campo, è sopratutto quello che si deve decidere partendo dalla consapevolezza che uno Stato deve scegliere una politica comune, secondo le esigenze che si presentano in determinate circostanze storiche e cercando di avere una visione per affrontare i cambiamenti che avverranno nei prossimi anni, tenendo anche conto di un’Unione che si trasforma in Stato e dove si deve rivendicare il meglio.
Questa visione di una grande e indispensabile Europa, nel grande gioco geopolitico che durerà per alcuni anni, deve essere sempre tenuta presente e non può piegarsi alla logica della grande finanza, delle grandi lobbies internazionali. Ed è questa Europa che deve trasformarsi in Stato politico a dover interessare l’Italia, che è stata una protagonista del “sogno europeo” e che deve rivendicare il suo ruolo di potenza economica.
Qui non per partigianeria, ma di fronte alle turbolenze di questi giorni in vari Paesi d’Europa vengono in mente le parole di Bettino Craxi pronunciate nel 1997. Scriveva Craxi in “Io parlo, e continuerò a parlare”: “Si presenta l’Europa come una sorta di Paradiso terrestre (…) L’Europa per noi, come ho già avuto modo di dire, nella migliore delle ipotesi sarà un limbo. Nella peggiore delle ipotesi l’Europa sarà un inferno. Quindi bisogna riflettere su quanto si sta facendo. Perché la cosa più ragionevole di tutte era quella di richiedere e di pretendere la revisione, essendo noi un grande Paese – perché se l’Italia ha bisogno dell’Europa, l’Europa ha bisogno dell’Italia – pretendere la rinegoziazione dei parametri di Maastricht”.
Durissimo nella sua accusa ad un sistema neoliberista, Craxi insisteva nella volontà di riscoprire il sogno identitario dei padri fondatori. L’UE dovrà prendere la strada dell’integrazione completa, “pieni poteri” al Parlamento europeo, elezione diretta del Presidente della Commissione, partecipazione delle liste trasnazionali alle elezioni europee e creazione dell’esercito europeo. Soltanto con questi elementi la strada dell’unità federale sarà meno utopistica.
Craxi notava ancora polemicamente: “Il governo italiano, visto l’indirizzo delle cose, avrebbe dovuto per primo, essendo l’Italia tra i maggiori Paesi, il più interessato, porre con forza nel concerto europeo il problema della rinegoziazione di un Trattato che nei suoi termini è divenuto obsoleto e financo pericoloso. Non lo ha fatto il governo italiano. Non lo ha fatto l’opposizione, che rotola anche essa nella demagogia europeistica. Lo faranno altri, e lo determineranno soprattutto gli scontri sociali che si annunciano e che saranno duri come le pietre”. Questo Craxi lo scriveva e diceva nel 1997. Che cosa direbbe oggi con le turbolenze in corso?
Bettino Craxi aveva imparato dal suo maestro Pietro Nenni il motto “politique d’abord”. Ma dove si colloca oggi in una ipotetica classifica la politica?
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