Il caso Nvidia è solo un sintomo. Certo, un sintomo eclatante. D’altronde, come dimenticare Harry ti presento Sally e la perla di saggezza regalata da Billy Crystal al mondo nella scena della partita di baseball, quando alle obiezioni dell’amico sulla crisi di coppia, risponde con un sintetico Beh, quel sintomo si s***a mia moglie? That’s all. Gioco, partita, incontro.
E infatti, i grafici sull’ascesa iperbolica del titolo di Nvidia infestano la Rete. Io stesso ho ceduto alla tentazione nei giorni scorsi. Il problema, il qualcosa di più grave che mina quel rapporto di coppia e porta all’adulterio però sta altrove. Nei dintorni, per carità. Ma con altro nome: ARM.
Questi due grafici rappresentano alla perfezione la situazione generale del tech: la performance delle Mag 7 rispetto al resto del mercato e, soprattutto, quella di ARM negli ultimi 5 giorni di trading conclusisi lunedì scorso.
Ora, date un’occhiata a questa che potremmo definire l’immagine principale: la Nasdaq whale, la balena del Nasdaq, è tornata?
Ovviamente, la Sec dorme. Come allora. Come nel 2020, infatti, qualcuno sta comprando opzioni call col badile sui titoli tech al fine di gonfiare il valore a dismisura? E se allora si scoprì essere SoftBank, ovvero il conglomerato nipponico controllore di ARM, il sospetto di una replica della medesima strategia appare schiacciante, stante lo Skew della stessa azienda tech controllata da Masayoshi Son. Ovvero, il corrispettivo del Vix tracciato però attraverso le opzioni, appunto. Ma trattasi solo di un sospetto. Servono le prove, gli indizi non bastano. Persino di fronte a quella correlazione fra esplosione delle opzioni call e dello Skew che grida vendetta. E in un mercato minimamente ancorato alla razionalità sarebbe sufficiente, affinché tutti gli altri partecipanti mettessero in corner il responsabile. Ma a sua volta, il mercato in generale è al 90% manipolato. E tutti hanno il loro quantitativo di marmellata a impiastricciare le dita. Meglio attendere una nuova Archegos, piuttosto che operare da canarino nella miniera. Ovviamente, ben stando posizionati vicino all’uscita di sicurezza.
Il problema? Ulteriormente di prospettiva, il dito che oscura la Luna. Questo caricare di attesa la data dell’11 marzo, giorno in cui chiuderà il Btfp che regge in piedi le banche sovra-esposte al real estate, problema reale e ancora sconosciuto nella sua proporzione, forse serve a occultare l’appuntamento del giorno dopo? Perché il 12 marzo scade il periodo di lock-up dell’Ipo proprio di ARM tenutasi il 14 settembre scorso. E nel frattempo, operando sulle opzioni, qualcuno potrebbe aver creato un cosiddetto low float squeeze che ha spedito il valore del titolo alle stelle. E con lui, il comparto tech, già in orbita da trimestri grazie al fenomeno AI. Perché SoftBank controlla il 91% dei titoli ARM e solo il 5% di questi sono negoziabili. Eh già! Il flottante è di 95 milioni. Su 1 miliardo di titoli. Ma se fino a metà marzo SoftBank non può vendere, il gioco vale la candela?
E se qui non stessimo parlando meramente di un gamma squeeze finalizzato alla vendita ma alla nobile e disperata arte del marking the books? Senza ARM, già oggi l’equity attuale di SoftBank è negativa. Siamo testimoni della fase terminale (e più pericolosa) di uno schema orchestrato utilizzando l’Ipo della controllata con un lock-up quasi totale che garantisse i sottoscrittori, stante appunto il precedente del 2020 e le perdite patite da Softbank su WeWork? A quel punto e se questo fosse il caso, i mesi successivi sarebbero appunto stati utilizzati per un pump del titolo via opzioni. Esattamente come nel 2020. Seguirà il dump, la vendita sotto steroidi che garantisce profitti da sogno prima del redde rationem? O basterà essere sopravvissuti? Ma sopravviverà? E le Mag 7? E l’intero carrozzone?
A questo punto, vi rimando al mio articolo di sabato scorso. La sintesi? Se la scorsa settimana avevo posto l’accento sul Concentration Risk dello Stoxx 50, i cui 5 titoli principali vedevano svettare 3 aziende tech, ecco che questo grafico ci mostra il flash crash patito nella giornata di martedì da ASML, il gigante tech europeo. E quello con maggior peso specifico.
Un rotondo 10% del totale sull’indice delle top 50, praticamente il doppio del secondo in classifica . il polo del lusso LVMH – con il suo 5,4%. La ragione? Ufficialmente, la solita. Un fat finger, grasso e distratto, avrebbe inserito per sbaglio un ordinativo di vendita. Ma di quelli seri, stante il -7% rispetto alla chiusura di lunedì e i volumi che lo hanno generato. Stop alle contrattazioni e poi si riparte, quasi tutto fosse realmente ascrivibile a un errore. Ma si sa, i trades inseriti erroneamente, nel 99% dei casi vengono cancellati. Mentre quello di ASML continuava a comparire nei dati compilati da Bloomberg. Almeno fino a mezzogiorno. Certo, chiudere a 852,10 euro dagli 827,80 di minimo intraday è stata comunque gran cosa, un limitare i danni. Ma resta il -2,68% di giornata di martedì. Resta insomma un po’ di fumo di quell’incendio. Di quel flash. E di quel crash.
Ed ecco che quanto descritto nella prima parte dell’articolo, quella relativa ai volumi delle opzioni call su titoli tech a Wall Street e soprattutto sul dubbio di una Nasdaq whale 2.0 su ARM, ci fa pensare che quel dito, grasso e distratto, forse tale non fosse. Magari grasso, sì. Ma concentrato su uno stress test. Oppure decisamente colto di sorpresa dall’unwind di qualche tonnellata di opzioni. O, in ultima istanza, involontario e inconsapevole canarino nella miniera proprio del possibile, secondo esperimento di low float squeeze della creatura di Masayoshi Son. Magari in vista del 12 marzo, fine del lock-up legato all’Ipo proprio di ARM. E del suo flottante volutamente ridicolo. Ma soprattutto acchiappa-tordi, visto il +100% e rotti negli ultimi 5 giorni.
Martedì, però, -19,5% per ARM. Tutta colpa dell’ennesima montagna russa dell’inflazione Usa? Buona la scusa, signori. Ormai quel dato è uno jo-jo da utilizzare alla bisogna, esattamente come le revisioni del Pil e del dato sui nuovi posti di lavoro. Qualcosa scricchiola? Certamente, il fatto che il flash crash europeo abbia colpito e momentaneamente affondato il titolo che pesa maggiormente sullo Stoxx 50 e che rappresenta la maggiore azienda tech del Vecchio continente non pare una coincidenza. Anche perché sarebbe l’ennesima. E per la legge dei grandi numeri, le probabilità scendono di molto. Al netto di narrative e unicorni.
Qualcosa all’orizzonte? Prove generali? La calma era davvero troppa. Quasi irreale. E il più che confortante dato di febbraio dell’indice IFO sulla fiducia dell’industria tedesca pubblicato sempre martedì lascia aperta la porta a uno shock in preparazione. Che sarà sì benedetto. Ma costerà il sacrificio di qualcuno. Ma di questo parleremo a parte.
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