Archiviata l’indagine su Fedez, accusato di diffamazione da Pietro Maso. Lo ha deciso il gip di Roma, Maria Gaspari, secondo cui il rapper non ha diffamato l’uomo condannato per l’omicidio dei suoi genitori, delitto per il quale ha scontato 22 anni di carcere e altri 5 in semilibertà. In merito alla strofa nella canzone rap “No Game-Freestyle“, per il gip una «creazione artistica» non è offensiva, anche se manipola la realtà per «raggiungere mete ulteriori e ideali». Nel brano, che era stato pubblicato sulle piattaforme streaming prima dell’estate 2021, Federico Lucia, in arte Fedez, cantava: “Flow delicato, pietre di raso, saluti a famiglia da Pietro Maso, la vita ti spranga sempre a testa alta come quando esce sangue dal naso“.
L’artista, difeso dagli avvocati Gabriele Minniti e Andrea Pietrolucci, era stato querelato per diffamazione aggravata da Pietro Maso, secondo cui le espressioni usate da Fedez, «riferite e riferibili in maniera chiara, diretta ed esplicita al sottoscritto, indicato per nome e cognome, appaiono oggettivamente diffamatorie e non possono essere certamente ricondotte all’uso di immagini forti appartenenti al genere musicale o alla cifra artistica degli autori».
LA DENUNCIA DI PIETRO MASO E LA DECISIONE DEL GIP DI ROMA SU FEDEZ
Pietro Maso, assistito dall’avvocato Alessio Pomponi, aggiungeva che la sua vicenda non aveva più alcuna «attualità e rilevanza storica» a distanza di tanti anni. Infatti, era la notte tra il 17 e 18 aprile del 1991 quando, con l’aiuto di tre amici, uccise i genitori, appena 19enne, a colpi di spranga e di punteruolo nella villetta di famiglia a Montecchia di Crosara, in provincia di Verona. Dopo pochi giorni confessò di averlo fatto per impossessarsi dell’eredità. Processato, un anno dopo fu condannato a trent’anni di carcere (con il riconoscimento della seminfermità mentale), che ha scontato nel 2015, grazie a benefici penitenziari.
Per il gip di Roma, che ha accolto la richiesta di archiviazione della procura, la canzone “No Game -Freestyle” è una «creazione artistica» e in quanto tale, come afferma la Cassazione, non può essere ritenuta offensiva. Inoltre, Maso non può appellarsi al diritto all’oblio, cioè che non si parli più di lui, in quanto la collettività ha diritto a conoscere le notizie di interesse generale, «anche a distanza di molto tempo dalla commissione» del reato a causa della sua gravità e della notorietà di chi se ne è reso responsabile.